Buon Natale: gli auguri del parroco
L’evangelista Luca nel raccontarci l’evento del Natale, dunque, della nascita di Gesù, al capitolo due, al versetto sette, ci dice che Maria lo avvolse in fasce: un atto di tenerezza e di affetto che solo una madre può fare, perchè solo una madre può capire; un tenerlo tra le braccia prima di deporlo nella culla, mangiatoia per Dio, per poi consegnarlo definitivamente al mondo. Un primo distacco, forse il più doloroso dalla sua creatura che ha tenuto nel grembo per nove mesi, quando la sua vita era la vita del suo figlio, il suo respiro quello del figlio… un distacco reso meno sofferente da questo amorevole avvolgere in fasce che a me sembra un abbraccio. É abbraccio fuori della sua pancia, aperto all’umanità.
In verità, il Natale è anzitutto l’abbraccio di Dio al mondo, agli uomini e alle donne di sempre. Per questo nostro Signore è venuto nel mondo: per avvolgere in un grande abbraccio il creato e le creature. La storia umana di Gesù è fatta di abbracci che hanno accolto e consolato, abbracci che hanno rimesso in piedi e mostrato la misericordia, abbracci che hanno avvicinato e fatto vedere l’amore… l’abbraccio della croce per amore e dalla croce verso l’umanità intera; l’abbraccio, dunque, della Salvezza.
L’abbraccio è un bisogno vitale, è un’esigenza nativa. Il bimbo abbraccia sua madre e si addormenta tra le sue braccia; un uomo abbraccia la sua donna per dirle il so amore e mentre lo fa, spera che sia lo stesso per lei. L’abbraccio può essere un semplice saluto, o può dire tutto il sentimento che si ha nel cuore. Ci sono abbracci di addio – come sono brutti quando davvero definitivi! – e abbracci di ritorno, a volte illusori, a volte malinconici, o carichi di speranza.
Madri che si abbracciano con i propri figli, abbracci a volte fortissimi che stringono fino a togliere il respiro… non si capirò mai fino in fondo chi ha più bisogno di affetto: le madri o i figli, forse tutti e due al pari. In genere, sono abbracci di protezione materni e di affidamento filiali. Anche i padri abbracciano. Forse meno delle madri. Vogliono dire lo stesso amore, ma con toni diversi; sono abbracci a volte richiesti, a volte strappati, a volte spontanei. Vogliono esprimere la gioia di una paternità che dà significato alla vita, senso alle fatiche e motivano i tanti sforzi di ogni giorno.
Basta un abbraccio per dimenticare la stanchezza immane dopo sedici ore di lavoro senza mai fermarsi o la sofferenza per qualcuno che ti ha fatto del male. Abbracci per dire: grazie, o per dire: ho bisogno di te, o: sei tutta la mia vita. Abbracci per avvolgere una vita che nasce o una vota che muore.
Il Natale, nella storia dell’oggi, è Cristo che torna ad abbracciare e ad abbracciare tutti: buoni e cattivi, grandi e piccoli, sentimentali e non, perchè tutti hanno bisogno di un abbraccio. Con il suo abbraccio dà inizio alla storia dell’amore con l’umanità. Egli ci insegna che l’abbraccio dimostra un amore, non lo anticipa, a volte falsamente; che un abbraccio ti salva la vita anche se la stessa va prima donata. Dio abbraccia perchè vuole tenerci stretti a Lui, cullati tra le sue braccia, consolati dalla sua voce, avvolti dal suo amore. Nella culla di Nazareth c’è il sunto di un amore visibile: tutti abbracciano tutti. Sia così per le nostre famiglie, nelle nostre case, tra gente di ogni luogo, tra popoli e culture, con gli ultimi della terra. Il Figlio dell’Altissimo, che si è piegato in un abbraccio senza fine, doni a tutti la speranza della vita. Auguri.
don Vincenzo di Palo