Natale 2021 – «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»

Carissimi,

in questo nostro primo Natale insieme, vorrei invitarvi a fare vostra la speranza che trasuda dalle solenni parole di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura:

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»(Is 9,1).

Come sarebbe bello se questa profezia, che trova il suo pieno compimento nell’annuncio degli angeli, risuonasse, nonostante le apparenze contrarie, anche nei nostri auguri:

Non farti abbattere dallo scoraggiamento, fratello mio, sorella mia! Le tenebre che avvolgono la nostra vita personale e sociale oggi sono squarciate da una luce umile, quella della presenza di Dio che si manifesta nella piccolezza di un Bambino: andiamo avanti con fiducia.

Anche i nostri giorni – come quelli di Isaia – sono giorni in cui è urgente seminare speranza, diffondere germi e messaggi di pace. Il fatto che continuiamo a rivivere la stessa situazione di incertezza, di confusione e di paura del futuro ci avverte: non è vero, come avevamo ingenuamente pensato, che la storia sia un cammino lineare, quasi un’ascesa automatica verso un infallibile progresso. Non è così!

Ogni ora della storia porta con sé non solo miglioramenti ma anche regressi, non solo luci ma anche ombre, non solo entusiasmi ma anche paure.

Per questo, ogni anno il cammino che ci prepara al Natale ci aiuta a scorgere la venuta di Dio «nelle visioni notturne» (Dn 7,13). Dio viene nella notte, tra le nubi spesso tenebrose che si addensano sulla nostra esistenza. Ma tramite la voce dei profeti di ieri e di oggi, sempre ci rassicura:

«Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene»(Ger33,14).

La nostra vita non è sotto il segno della maledizione, ma della benedizione!

La benedizione del Signore viene, anche se gli uomini vogliono il contrario (cf. Nm 24, 15-17).

Anche a te, dunque, al tuo nome e alla tua vita, è legata una promessa di bene, una promessa di Dio. La sua fedeltà è scritta nelle fibre di questa nostra vicenda umana, anche quando questa ci appare assurda e senza significato. Per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo.

La celebrazione del Natale rinnova dunque la certezza che Dio è realmente presente con noi. In quel Bambino Egli si è avvicinato all’uomo: e noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.

Quando nella Chiesa risuona questo piccolo ma prezioso avverbio di tempo, la liturgia non sta utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma ci sta dicendo che Dio offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi, la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, proprio come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli continui a nascere anche nella nostra vita, a rinnovarla, a illuminarla e a trasformarla con la sua Grazia, con la sua Presenza.

Il Vangelo, tuttavia, non si ferma a questo annuncio: ci dice anche le condizioni perché l’accoglienza di questa sua luce sia resa possibile. Abbiamo ascoltato con quali nomi di superbia e con quali toni di magniloquenza Luca ha iniziato il racconto della nascita di Gesù: sono gli stessi che troviamo nei nostri libri di storia, nomi di conquistatori di terre, come Cesare «Augusto».

Sappiamo bene cosa significa questo appellativo: «augusto». Il termine deriva dal verbo latino augere, che letteralmente significa «aumentare», «crescere». Augusto è colui che è cresciuto in una forma smisurata, colui che è diventato grande. In contrapposizione, c’è la figura di chi si è fatto piccolo, la figura di chi pur essendo nella forma di Dio, ha assunto la forma dell’uomo(cf. Fil 2,6-7). È Gesù, il figlio di Dio!

Colui che confessiamo come il nostro Salvatore non si è mostrato a noi esibendo forza e potenza.

Egli è «l’infinitamente piccolo»! Questo mistero ineffabile faceva dire a Bonhoeffer:

Cristo nella mangiatoia[…] è il Dio che non si vergogna della bassezza dell’uomo, ma vi entra dentro […]. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è «perduto», ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole, affranto; dove gli uomini dicono perduto, lì egli dice «salvato.

Se noi cristiani desideriamo farci imitatori di Dio e vogliamo che davvero le ombre della morte siano fugate dalla grande Luce, dobbiamo appropriarci di questo carattere di Dio che si fa piccolo.

Non è la grandezza che salva il mondo, ma la piccolezza!

Noi sogniamo di elevarci, di imporci sugli altri, di allargare e invadere spazi, di avere sempre di più.

Quante volte ci poniamo davanti agli altri con l’atteggiamento di chi prevarica, per cui l’altro diventa semplicemente «uno che mi deve qualcosa». Ma se lo vedo come un mio debitore è inevitabile che io entri in un rapporto perverso di pretesa e non di gratuità. Il messaggio del Natale va nella direzione opposta!

È quello di Dio che si ritrae, si accorcia, si fa infante e si fa silenzio. Nel Dio che nasce a Betlemme, infatti, non vi è distanza ma vicinanza, non superbia ma umiltà, non grido ma silenzio, non offesa ma rispetto, non invasione ma accoglienza, non pretesa ma attesa, non ferita ma guarigione, non morte ma vita.

Cristo Signore, che oggi ci chiede di nascere in noi, ci seduca con la bellezza della sua umiltà e del suo amore!

Buon Natale a tutti,

don Gianni e don Sergio

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