In ricordo di Enzo Balducci
Pubblichiamo l’omelia che don Gianni ha tenuto il giorno delle esequie del caro Enzo Balducci. Vuole essere questo un omaggio alla figura nobile e bella di Vincenzo, che per tanni anni ha servito con amore e passione la comunità parrocchiale.
Enzo mi ripeteva spesso, nei brevi incontri quotidiani prima e dopo la Messa in sagrestia, che si considerava a tutti gli effetti un miracolato.
Mi raccontava con un filo di voce – tanto da essere costretto a dirgli di parlare più forte (anche se quel suo parlare sottovoce era per me un altro segno evidente della sua indole timida e riservatissima, che oggi mi piace paragonare ad una firma piccola piccola, con la quale, senza saperlo, lasciava trasparire la sua personalità umile)… mi raccontava – dicevo – che circa sette anni fa aveva avuto un serio problema al cuore e che dopo il delicatissimo intervento che ne era seguito, non si sentiva più quello di prima.
Era rammaricato del fatto che quella debolezza che da allora si portava fin dentro le ossa – e che aveva ripercussioni anche sulla memoria – non gli permetteva di offrire alla Comunità lo stesso tempo e le stesse energie che aveva donato prima.
Io naturalmente lo incoraggiavo molto, invitandolo a considerare quel problema al cuore come una parentesi chiusa, un fatto ormai passato, e di accontentarsi piuttosto di svolgere le piccole mansioni quotidiane di casa e di parrocchia con le forze fisiche di cui disponeva… e che non erano poi così poche!
E questo è successo fino all’altro giorno, quando mi ha manifestato la sua apprensione per un dolore diffuso e diverso da prima, che lo stava preoccupando particolarmente, e che lui in parte attribuiva all’assunzione di un nuovo farmaco.
Mai avrei immaginato che quel dolore che si era affacciato improvvisamente potesse essere l’anticamera della morte. Oggi, pensando a quello scambio di pensieri, mi vado convincendo che in cuor suo avesse capito che quelle erano avvisaglie di qualcosa di più grave.
Una cosa è certa: non mi capacito ancora che ci abbia lasciato. Anche perché in tutti questi anni siamo stati la sua seconda famiglia! Tutto è avvenuto troppo in fretta…
Ma voglio dirvi qualcosa di lui.
Il suo modo di porsi, dialogare, stare con gli altri sempre così mite, composto, discreto e, nello stesso tempo, mai banale e superficiale, faceva di lui una persona piacevolissima. Per non dire che era sempre conciliante appena qualche riflessione prendeva la direzione della polemica sterile.
Ma ciò che lo rendeva amabilissimo era la sua capacità di sorridere (a volte anche di ridere di gusto!) quando insieme si raccontavano episodi simpatici. Sapeva ridere anche di sé stesso – e questo per me era l’aspetto più bello del suo carattere, la cifra più significativa della sua grande serenità d’animo e della sua intelligenza. Era dotato di una straordinaria capacità di autoironia e di leggerezza.
I suoi occhi – quando non tradivano la legittima preoccupazione per una possibil recidiva del male – erano quelli di un fanciullo; manifestavano una innocenza disarmante, quella tipica di chi ha un cuore libero, una coscienza pulita, un animo puro, non doppio.
Cosa posso dire ancora di Enzo che voi già non conosciate?
Quello che pensate di lui, alcuni di voi l’hanno condiviso con semplicità nelle chat e nei social appena è cominciata a circolare la notizia della sua morte.
Le cose belle che avete detto e scritto di lui mi confermano nella convinzione che, a dispetto di quello che si pensa, non è vero che nelle relazioni è vincente chi si mostra più forte, sicuro di sé, magari anche un tantino arrogante. È vincente, piuttosto, chi si muove verso l’altro con la dolcezza e la tenerezza di una carezza. Proprio come sapeva fare il nostro Enzo.
Enzo ha servito questa Comunità con grande passione, trasporto, senza mai risparmiarsi. Per lui, mettersi a disposizione degli altri era il modo più bello per dire a Dio il suo amore. Era la sua fede semplice e granitica a fargli esprimere i suoi piccoli servizi in maniera silenziosa e quasi impercettibile.
La comunione agli ammalati del quartiere era l’impegno che aveva afferrato totalmente la sua vita.
Ricordo la sua puntualità e serietà agli incontri di formazione e ai ritiri mensili riservati ai ministri straordinari della comunione: sapeva che portare l’Eucaristia agli anziani e agli ammalati era un gesto di amore verso Dio e verso i più poveri. E che quello che il rito sacramentale concedeva a lui – dare Cristo agli altri – in realtà è la vera missione che ogni membro della Chiesa deve vivere in ogni scelta e gesto che compie.
Sono certo che, complice quel processo di dissolvenza che a volte prende un po’ tutti, continueremo a immaginare Enzo ancora per molto tempo qui, al momento della comunione, mentre con fare raccolto e compito distribuisce l’Eucaristia.
Continueremo a vederlo in chiesa con i suoi pantaloni sempre attillati, le camicie stirate a puntino, le scarpe lucidate, che fa continuamente la spola tra la sagrestia e l’altare per preparare la Messa.
E tutto questo con uno stile elegante, discreto, signorile.
L’errore che possiamo commettere è quello di pensare che questo suo fare improntato a mitezza discrezione, disponibilità, generosità, provenisse solo da una sua naturale propensione e inclinazione. In parte sì – certamente –, ma in parte era anche il frutto di un lavoro personale su sé stesso, l’esito di un percorso spirituale, l’impegno quotidiano a vincere “l’istinto della carne”, quella tendenza tutta umana a essere primi, a sentirsi grandi ed importanti, a comandare sugli altri…
Quasi sempre, dopo la Messa, quando veniva ad aiutarmi in sagrestia, riprendeva qualche passaggio del Vangelo o dell’omelia per una piccola ma intensa condivisione spirituale: intuivo allora quanto profonda fosse la sua interiorità e da dove provenisse la sua grandezza d’animo.
Prima di concludere non posso non tener conto del fatto che Enzo si è spento nel giorno della vigilia dell’Assunta.
Direte: solo un caso, una coincidenza… io invece dico: una Dio-incidenza.
Mi piace pensare che la Madonna l’abbia voluto con sé nel giorno della sua festa; nel giorno in cui la Chiesa – facendoci contemplare la dormitio Mariae – ci ricorda che la morte è un sonno.
Il sonno non è la fine, ma una pausa necessaria per riprendere con più vigore la vita. Non a caso la Chiesa da sempre chiama i cristiani i santi dormienti.
La liturgia di ieri ci ha ricordato che la morte non ha interrotto la vita di Maria, ma l’ha introdotta nella pienezza della dimensione divina. Ma ancor più ci ha detto che questo non è un privilegio concesso solo a Maria santissima, ma una possibilità per tutti i credenti.
Oggi, questa, per noi è una certezza per il nostro Enzo!
I padri della Chiesa, gli iconografi orientali hanno sempre descritto il mistero dell’Assunzione rappresentando Gesù Risorto accanto al sepolcro della Madre mentre tiene in braccio Maria ritornata bambina, avvolta in fasce – le fasce della nascita e della morte, al tempo stesso. E questo per trasmetterci un messaggio di grande speranza: non si muore mai!
Non si muore mai, si nasce due volte. E la seconda è per sempre!
La morte non è una fine, ma un nuovo inizio.
Con la morte siamo tenuti in braccio da Gesù… Enzo, dobbiamo immaginarlo così: tra le braccia del Risorto o, se volete un’immagine più biblica e liturgica, sulle sue spalle, sulle spalle di Cristo, buon Pastore.
Come è bello sapere che, se nella vita terrena era Maria a tenere in braccio Gesù, ora, nella nuova condizione di risorta, è Gesù a tenere in braccio lei.
Sono più che certo che Enzo si è spento sereno, è andato incontro al suo Signore sapendo che nell’abbraccio con lui sarebbe entrato nella pienezza della Vita.
E così sia!