Figlio nella Madre
A nessuno sfugga che il Natale viene ogni anno nella memoria dell’Incarnazione e nell’evento celebrativo del presente per estrarre dal cuore di ciascuno cose antiche e cose nuove: sentimenti variegati di verità e bontà che si frappongono alla vita personale e comunitaria quasi sempre complessa, contorta, di difficile soluzione e senza un progetto. Una sorta di ritorno, quasi imposto, alla semplicità e alle cose vere della vita.
Il Natale irrompe nella storia e sconvolge; sembra che nelle trame della cronaca ci metta la forza del cambiamento; che scriva pagine altre della stessa; e che per quanto si possa resistere alla sua potenza avanza servendosi della terra, dei poveri, dei volti per manifestare tutta la sua bellezza.
Il Natale viene dalla terra. La terra devastata, seviziata, mortificata, sfigurata dalla villania dell’uomo, dalla sua incoscienza, dalla sua bramosia di poteri fatui…la terra genera il Salvatore. La terra risorge dalle sua macerie, si risolleva dopo aver travolto e stravolto, distrutto e ucciso. Torna a vivere e a far rivivere. Nel Natale è madre e non più matrigna, ridiventa alleata dell’uomo. Essa gli parla e chiede rispetto, attenzione, custodia e protezione. L’uomo può rinascere a cominciare dal Natale se è capace di vivere sulla terra da servitore e pellegrino: da servitore, e, dunque, al servizio permanente di una cosa grande, la terra, che lo ricompensa con la bellezza dei suoi tratti, l’incanto delle sue opere, lo spazio di un paradiso quaggiù. Da pellegrino, consapevole cioè di aver ricevuto un bene immenso e di consegnarlo più bello, più vero, più vicino all’originale.
Il Natale viene dai poveri. I pastori di quel primo Natale sono i poveri di sempre. Quelli osannati dai ricchi nei discorsi falsi e insensati, citati anche da “quelli” della chiesa come soggetti da propaganda di una pastorale apparentemente solidale più che difesi in ogni modo e ad oltranza. Sono i poveri oggi che generano, sono loro che danno speranza. I ricchi chiusi nella sterilità del loro egoismo fanno morire, artefici e vittime di congetture senza verità. Sono i poveri che fanno i figli, forse con incoscienza, un po’ di ingenuità; sono loro che nonostante la disumana condizione sono capaci di sorridere, di gioire. La vita per loro è ancora un miracolo, perché generano, qualche volta senza un perché e vivono ogni giorno nella speranza di andare avanti e nella fiducia in qualcosa, qualunque cosa che possa dar loro vita.
Il Natale viene dai volti. Ci sono i tanti volti disperati, quelli della diaspora dei popoli, o per meglio dire, del pellegrinaggio nella comune madre terra; sono volti che non si dimenticano perché la coscienza li ricorda sempre. Questi volti portano il Natale; i loro figli generati nell’esodo raccontano la nascita di Dio. Sono loro a far vivere il Natale, sono loro i veri presepi viventi. Essi sono altro dai volti artefatti di tanti uomini e donne che recitano il Natale; quelli che si fanno i regali, ma sono incapaci di donarsi; cantano l’amore ma non si amano. Poi ci sono i volti tumefatti, sfigurati dalla violenza, ogni forma di violenza, tutte le violenze. Ci mostrano il Natale della Croce, dove puntualmente le fasce della mangiatoia vengono sostituite da quelle del sepolcro. Infine, c’è il volto di una mamma, quella che piange e ride alla notizia di una gravidanza; quella che guarda il suo pancione incredula; che parla con il suo bambino e lo accarezza infinitamente. Figlio nella madre, volto nel volto, è l’immagine stupenda del Dio Bambino.
A ciascuno la scelta di vivere il “suo” Natale. Auguri.
Vincenzo Di Palo