17 gennaio 2016 – Domenica della manifestazione della gloria di Gesù a Cana
DOMENICA DELLA MANIFESTAZIONE
DELLA GLORIA DI GESÙ A CANA DI GALILEA
E DEL NUOVO PATTO DI AMORE TRA DIO E GLI UOMINI
II del Tempo Ordinario per l’Anno C
Giovanni 2,1-12; Isaia 62,1-5; Salmo 95; 1 Cor 12,4-11
don Pino Germinario
L’autore del quarto vangelo non è uno scrittore di cronaca che vuole farci sapere cosa accadde a Cana quando, durante un banchetto nuziale, rimasero senza vino.
Giovanni è un teologo raffinato che ha scritto la sua opera non solo dopo la risurrezione di Gesù, ma anche dopo gli altri vangeli.
Egli vuole portare gradualmente i suoi lettori a riflettere e rileggere le parole e i segni di Gesù alla luce dell’intera storia della salvezza per farli giungere ad una sempre più profonda conoscenza del mistero di Cristo e suscitare la fede in Lui.
Questi segni sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20,31)
La prima grande idea che l’evangelista Giovanni vuole comunicare è questa: con la presenza di Gesù c’è una nuova alleanza, cioè una nuova relazione con Dio.
Il racconto delle nozze di Cana è modellato sulla apparizione di Dio sul monte Sinai e corrisponde in qualche modo al dono della legge sul Sinai.
Nella tradizione giudaica, quando si raccontava il dono della legge sul monte Sinai, veniva sempre indicata una struttura settimanale e si diceva che il dono della legge è avvenuto nel sesto giorno.
Il testo delle nozze di Cana è preceduto da una scansione di giorni che culmina con l’indicazione “Al terzo giorno” con cui inizia il capitolo 2.
La somma di questi giorni fa coincidere il giorno delle nozze con il sesto giorno come nel racconto del Sinai.
[Purtroppo nella traduzione l’importante indicazione “Al terzo giorno” è stata sostituita con la generica “In quel tempo”.]
Nel libro dell’Esodo Dio dice a Mosè:
«Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te».
«Va’ dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. (Es 19,9-11)
Il racconto delle nozze di Cana è inserito in una settimana, avviene al sesto giorno, inizia con l’indicazione del terzo giorno e termina dicendo che Gesù mostrò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Nella tradizione biblica l’evento del Sinai, cioè l’alleanza con l’antico popolo di Israele, era paragonato alle nozze di Dio con Israele. Era l’evento nuziale in cui Israele era stato preso come la sposa di Dio e il vino aveva un ruolo importantissimo in questa simbologia come un simbolo dell’alleanza.
Il vino è il simbolo dei grandi beni che porterà il messia alla fine dei tempi.
Dunque, ai lettori, che avevano familiarità con i testi biblici, Giovanni voleva suggerire l’immagine del Sinai.
Dietro a queste nozze, che avvengono a Cana di Galilea, Giovanni vuole che il lettore veda un simbolo: non si fermi a quella immagine, ma che arrivi al significato.
Con la venuta di Gesù un nuovo patto di amore tra Dio e gli uomini sostituisce l’antica alleanza del Monte Sinai.
Il terzo giorno ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre
di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
La madre di Gesù è colei che ha dato la vita al messia, rappresenta il passato, la preparazione del messia e in questo racconto la madre di Gesù è il simbolo del popolo fedele, dell’Israele fedele.
I discepoli sono coloro che vengono dopo. Rappresentano il futuro, l’altro popolo, quello nuovo, è il popolo della chiesa.
A queste nozze simboliche di Israele viene invitato il messia, ma manca il vino che è l’elemento essenziale, non solo della festa, ma, simbolicamente, dell’alleanza, del rapporto di amore tra Dio e il suo popolo; manca il vino, non c’è più questa comunione.
Nell’originale greco la madre dice: «non hanno vino», non che è venuto a mancare, che è finito, ma non c’è, manca; cioè la relazione con Dio è assente, c’è una struttura religiosa vuota di contenuto, ed è la madre che dice a Gesù, è l’Israele fedele che si rivolge al messia chiedendo questo vino perché non c’è.
La risposta di Gesù è sconcertante: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».
La chiama donna proprio perché il narratore vuole evocare il simbolo femminile di tutta la tradizione di Israele, è il popolo, è l’umanità, è la sposa.
E la domanda dice: che relazione c’è fra di noi? Cioè: come ti poni nei miei confronti, pretendi che io faccia quello che vuoi tu?
Nel vangelo di Giovanni l’«ora» è il momento decisivo e fondamentale in cui Gesù muore, cioè dà la vita e fa vivere; è il momento del compimento definitivo dell’alleanza, quando dal costato usciranno sangue e acqua, quel sangue che eucaristicamente è rappresentato dal vino.
Al capitolo 19, sotto la croce, troveremo per la seconda volta Gesù, la madre e il discepolo. E anche dalla croce Gesù si rivolgerà a sua madre chiamandola: «donna». Solo due volte a Cana e alla croce.
Con questo sistema narrativo le nozze di Cana richiamano simbolicamente la morte di Gesù e ne indicano il significato, cioè la stipulazione di una nuova alleanza che non è un contratto, ma una relazione di amore.
La madre risponde a Gesù dicendo ai servi: «Fate quello che vi dirà».
Ed è la formula usata da Israele al Sinai; il popolo disse: «Quello che il Signore ha detto noi lo faremo», ed è una formula rituale per la stipulazione dell’alleanza. La madre di Gesù svolgendo il ruolo del popolo fedele dice ai servi: fate quello che vi dice il messia.
Alla domanda: che relazione c’è fra di noi? la risposta è pratica, c’è la risposta di obbedienza, di accoglienza, di disponibilità.
A questo punto Gesù interviene senza fare alcun gesto che attiri l’attenzione, ma dando un semplice incarico ai servi:
Giacevano là sei giare di pietra che servivano per la purificazione dei
Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono.
Queste giare sono strumenti religiosi, fanno parte della struttura religiosa ebraica e servono per purificare, per lavarsi ritualmente.
L’indicazione che erano di pietra e che giacevano immobili richiama da una parte la pietra delle tavole della legge e d’altra parte il cuore di pietra di cui parlavano i profeti. Sono il simbolo della incapacità umana di incontrare Dio anche attraverso tutti i riti e la Legge antica.
Poi attraverso le parole del capo-tavola, immagine dei capi di Israele, appare la sottile ironia di Giovanni: pur essendo il responsabile del banchetto, “non sapeva da dove venisse” quel vino che però giudicava migliore di quello servito prima.
Allo stesso modo al Capitolo 9 del Vangelo i Giudei dicevano al cieco nato guarito da Gesù: Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Se il vino è il simbolo dell’alleanza, il capo senza capire dice: “quella
che avevamo prima era meno buona”, quella migliore è arrivata adesso; è il capovolgimento dell’alleanza.
Ed ecco che la purificazione degli uomini non avviene più ritualmente attraverso l’acqua delle giare ma attraverso il “vino nuovo e buono” in cui l’acqua è stata cambiata.
Nel capitolo 15, Gesù che si paragona alla vera vite, dice: «Voi siete puri, purificati, per la parola che vi ho annunziato».
Questa frase, detta in un contesto di vite, ci fa comprendere che il vino di Cana è la parola di Gesù, è il suo annuncio; Gesù è la Parola di Dio. Quindi il vino di Cana è lui stesso: è la possibilità dell’incontro con Dio, è il cambiamento dell’alleanza, come l’acqua è stata cambiata nel vino buono.
O Dio, che nell’ora della croce
hai chiamato l’umanità a unirsi in Cristo,
sposo e Signore,
fa’ che nel convito domenicale
la santa Chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore,
e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne.