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Valgono più i conti di bilancio che la dignità umana?

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denaroTutti s’ispirano, o dicono d’ispirarsi, al concetto di “dignità dell’essere umano”. Si è forse sviluppata una concezione antropologica dell’essere umano in cui si esprime un valore su cui tutti non possiamo che concordare? Ci appelliamo alla dignità umana quando dobbiamo aiutare un fratello in difficoltà, salvo poi fermarci alle parole e non riuscire a (ri)scoprire l’essenza e la sostanza del nostro prossimo, a capire che chi abbiamo di fronte è sacro solo per il fatto di essere una persona. Arzigogoliamo intorno a questo principio quando diciamo di voler tutelare il lavoro (e con esso tutti i suoi protagonisti), i risparmi del cittadino e i cosiddetti contribuenti, salvo fare i conti in tasca a chi soldi ne ha pochi e salvare plurimi istituti finanziari. Anche questo è rispetto della dignità umana?

Verrebbe da chiedersi se siamo ancora consapevoli che, in qualità di membri della famiglia umana, i migranti ed i loro familiari godono dell’insieme dei diritti fondamentali inerenti alla dignità umana, a partire da quelli sanciti nella Dichiarazione Universale dei diritti umani e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. Conosciamo il valore di “protezione dell’integrità fisica”, diritto alla vita, diritto di non essere sottoposti alla tortura o essere tenuti in schiavitù o servitù? Qualcuno ci ha abituati a pensare a “prima gli italiani”, nobile idea se fosse corroborata da altrettante azioni concrete ed immediate (quell’idea è diventata solo un misero spot pubblicitario, social e politico). Dovremmo rivalutare il vero significato di “prima le persone” (considerato che, oggi, siamo soliti porre al primo gradino del podio oggetti, successo, carta di credito, animali e così via).

Dobbiamo accogliere? Possiamo accogliere quando abbiamo la padronanza del concetto di “accoglienza”. L’ospitalità, richiamata con forza fin dall’Antico Testamento, dev’essere sempre, in una società civile, rispettosa della dignità umana di ciascuno, generosa, ordinata, condivisa. Questo in una società civile. Dignità umana, accoglienza, diritti fondamentali: concetti ampiamente usati, anzi inflazionati che, di contro, ne evidenziano la grande debo-lezza nella nostra società liquida. Tanto più il concetto è generale e astratto, tanto meno è determinato in particolare e in concreto: a se-conda dei punti di vista culturali, ideologici, morali gli si possono assegnare contenuti diversi. Dei tanti principi che girano oggi dalla televisione ai social tanto più se ne celebra la generale validità, tanto più li si svuota.

immigrati (1)Non dimentichiamo che il rispetto della dignità della persona presuppone la concezione di un’antropologia integrale, in cui ogni aspetto che forma l’es-sere umano (ragione, relazione, affettività, socialità, fisicità, etica, conoscenza e spiritualità, corporeità) deve essere sincronico. Nella rivelazione e nelle culture ebraica e cristiana la dignità della persona umana risiede nell’affermazione del libro della Genesi: l’uomo è immagine e somiglianza di Dio nel suo essere e nella sua missione verso le stesse realtà create. Sarà, poi, il cristianesimo a elaborare il concetto di fraternità universale per cui non vi è legittimità per la schiavitù e per ogni tipo di sopruso. Per di più, oggi si sta sviluppando anche una vera e propria guerra psicologica, basata sulla violazione della dignità come arma: tanto più cresce nelle nostre coscienze il valore dell’essere umano, tanto più la crudeltà si presenta nuda, priva di giustificazioni rispetto a presunte colpe della vittima e, tanto più quest’ultima è scelta a caso, ignara e inerme, quanto più l’orrore è grande ed efficace. Insomma, il male non fa più scandalo, è diventato normalità, anzi banalità.

Ecco perché il bene ci sembra essere diventato così fragile, quasi inesistente. E, guardando ai recenti fatti di cronaca e attualità (dalla chiusura dei porti all’aumento espo-nenziale della violenza per le strade e negli stadi) anche qualcosa in più: il bene è ricattabile proprio perché è bene. Opporsi allo status quo attuale è, dunque, rivoluzionario e si rischia di risultare scomodi o di dare fastidio. Almeno noi cristiani (non di comodo, di parola o di facciata), in questi tempi di chiusura di porti, di porte e di cuori, dovremmo denunciare la corruzione e le torture di un’economia che mette al centro il denaro e la finanza, finendo per trattare la persona umana alla stregua di un bene di consumo, se non di materiale di scarto. Verso quale paesaggio siamo diretti? Non lo sappiamo: tutti parlano di società liquida, noi cerchiamo allora di porre in essa qualcosa di solido. Osservare la via del Signore ed agire con giustizia e diritto.

Marcello la Forgia

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