La vita nuova in Cristo donata dal Padre, mediante lo Spirito, a ciascun battezzato, lo rende certamente capace di lottare contro le tentazioni e le insidie demoniache, ma non lo esenta da possibili cadute. La grazia battesimale, che ha cancellato, insieme al peccato originale, tutti i peccati personali e le pene conseguenti, rendendolo pienamente partecipe della vita divina trinitaria, può essere, infatti, facilmente perduta a causa della umana tendenza al male. Tuttavia, ponendolo continuamente nella necessità di operare scelte, ne esalta la libertà che, sola, può dare valore a tali scelte. A causa di questa estrema umana fragilità, che ci rende tutti peccatori agli occhi di Dio, Gesù ha voluto che la Chiesa continuasse la sua opera di salvezza attraverso l’istituzione dei Sacramenti e particolarmente di quelli detti di guarigione: la Riconciliazione e l’Unzione degli infermi.
Purtroppo, il Sacramento della Riconciliazione (detto anche della Conversione, della Confessione, del Perdono, della Penitenza, denominazioni tutte insufficienti in quanto riferite ad uno solo dei diversi momenti previsti dalla liturgia del Sacramento), è in progressiva crisi, mentre, di pari passo, è aumentato in maniera esponenziale il numero di coloro che, forse inconsapevolmente, si presentano al sacerdote per ricevere Gesù Eucaristia. Già papa Pio XII, a tele proposito, aveva denunciato questa progressiva perdita del senso del peccato affermando che «il più grave peccato dei tempi moderni è non credere più nel peccato».
Non è affatto raro, in effetti, incontrare fratelli che, pur professandosi credenti, affermano, con molta superficialità, di non avere peccati da confessare o che, comunque, considerano la propria condizione spirituale un affare privato da risolversi direttamente tra Dio e loro e che esclude la mediazione della Chiesa attraverso un Ministro consacrato. Il credersi esenti da qualsiasi peccato evidenzia un atteggiamento farisaico derivante da una scarsissima consapevolezza dell’enorme distanza che separa noi creature, naturalmente deboli, dalla santità di Dio, i nostri pensieri dai suoi. A tale proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1425), tra le altre citazioni, ricorda sia l’invito di Gesù a pregare il Padre dicendo «Per donaci i nostri peccati» (Lc. 1,4) che l’affermazione dell’evangelista Giovanni «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1 Gv. 1,8). Ritenersi esenti da colpe é, sicuramente, un gravissimo peccato di orgoglio che denota, in chi lo commette, una assoluta incomprensione del valore salvifico del sacrificio stesso di Gesù, del suo mistero pasquale di incarnazione, passione, morte e risurrezione.
Gaetano la Martire