Artigiani di un “tempo” nuovo

parrocchia san bernardino molfetta - dominio di sè pacatezza fortezza d'animoUltima corsa serale del bus. Il mezzo arriva con quasi un’ora di ritardo. Il passeggero spazientito: «Ma non doveva essere qui alle 22,40?». «Beh – risponde pacato e sorridente l’autista – tenevamo un appuntamento noi due?». «Pacatus» è il moderato, «imperturbatus, placidus, sedatus, serenus, tranquillus, lenitus», raccolto in un’olimpica pace, propria delle divinità celesti e retaggio dei temprati sovrani, come Virgilio scrive al duca di Urbino, Guidubaldo II della Rovere, da Londra nel 1543: «Dove è la virtù, lì non può albergare né miseria né affanno, poiché è proprio di un uomo forte e costante sopportare tutte le avversità con animo pacato e sedato».

La pacatezza, dunque, quale cifra di fortezza d’animo: guida nelle proprie scelte e nelle azioni, tempera i propri sentimenti, evitando eccessi guida alla sobrietà, all’equilibrio, quindi al rispetto delle persone, dell’ambiente e delle cose. Il primo grande storico e oratore dell’età arcaica, Catone il Censore, ammoniva: «Evita ciò che eccede la misura e ricordati di accontentarti del poco: più sicura è la nave trasportata da una corrente moderata». Senza che ciò venga inteso come rinunzia all’azione o a una vita vissuta in pienezza e con passione.

Frutto di faticosa ed esigente vigilanza su se stessi, la mancanza di moderazione conduce ad innumerevoli eccessi: di linguaggio (vedi quello eccessivo abitato dai social), di comportamento (vedi quello dei talk show), di potere, (ahimè anche nei nostri ambienti, spesso patinato dal pretesto del sacro). Quante manifestazioni dell’eccesso! Tra gli eccessi più popolari c’è il rapporto col cibo. «Abbà Eulogio diceva al suo discepolo: Figlio, poco alla volta, esercitati a restringere il tuo ventre, grazie al digiuno. Infatti, come un otre disteso diventa più sottile, così ugualmente il ventre quando riceve molto cibo. Ma se ne riceve poco, si riduce ed esige sempre poco».

Il cibo e non solo. Un maestro mistico del’Islam, al-Ghazali, ammoniva che il vero digiuno è astenersi dai peccati della lingua e degli altri membri, anzi è liberarsi da «tutto ciò che non è Dio». Persino la tradizione indù con Gandhi sposa la stessa linea: «Il digiuno non ha senso se non educa alla sobrietà e se non è accompagnato da un costante desiderio di autodisciplina. Colui che ha soggiogato i sensi è il primo e più importante tra gli uomini. Tutte le virtù risiedono in lui».

parrocchia san bernardino molfetta - dominio di sè pacatezza fortezza d'animoAlla cultura dell’eccesso la tradizione cristiana ha risposto con la virtù chiamata enkráteia, cioè «dominio di sé, autocontrollo», oppure sophrosýne, «saggezza, moderazione», esercizio corretto dei pensieri e delle passioni. Entrambe si radicano sul solido fondamento della pace: un atteggiamento incarnato dal quell’imperturbabile autista, la cui battuta ha aperto la nostra riflessione.

Erasmo stesso fa della pacatezza la principale virtù dell’uomo cristiano, che cerca e dona pace: «Se dunque hai camminato nelle vie dello spirito, e non della carne, dov’è il frutto? Dove la carità? Dove la letizia dell’animo? Dove la pace nei confronti di tutti? Dove la pazienza, la magnanimità, la bontà, la benignità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza?».

La pace è una virtù incondizionata, non è il frutto di un negoziato, ma una postura, un atteggiamento adatto in ciascuna relazione umana. I grandi testimoni di pace l’hanno ripetuto: «È nella calma e nel riposo che un uomo acquisisce la saggezza e la prudenza, non nell’agitazione e nella lotta. Così è per l’umanità. Senza una tranquilla pace, essa è inabile a compiere la propria missione, che si può dir quasi divina. È dunque manifesto che la pace universale sia la condizione più alta della nostra beatitudine» (Étienne Gilson).

Gilson si rifaceva alla lezione di sant’Agostino, il quale teorizzava per tutti gli uomini una città di Dio fondata sulla pace, dunque anticipazione in terra del Regno: «La pace della Città celeste è la società di quelli che, nell’ordine e nella concordia, fruiscono della comunione con Dio e si rallegrano in Dio gli uni gli altri» (De Civitate Dei).

 

Francesco de Leo
seminarista 

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