Chissà se ci siamo mai posti dinanzi al matrimonio come a qualcosa di dinamico, cioè che è in cammino, che è in divenire o se ci siamo invece assuefatti al suo scorrere, quasi avesse una sua staticità, come fosse un’abitudine, un “così è” e “così deve andare”. L’una con il suo proprio, l’altro con la sua impronta, sopportati e gestiti così da non rompere gli equilibri, aspettandosi parole, gesti, atteggiamenti che spesso non arrivano, rammaricandosene e covando un sentimento latente di sconforto.
COSA OSTACOLA LA GIOIA IN FAMIGLIA
Tutto ciò prima o poi priva la coppia e la famiglia della spontaneità della gioia, inaridisce il tempo quotidiano, ostacola gli sguardi e interrompe la fluidità dell’energia comunicativa. È difficile non rendersene conto, fa anche male, eppure è più facile non mettersi in discussione e non rimettersi in gioco, affinché si svelino le mancanze, si percepiscano gli errori e ci si prodighi per un’unione ritrovata e sempre effervescente. Forse ci si blocca perché si pensa sia sempre colpa dell’altro e si spera che sia l’altro ad operare cambiamenti, a riconoscere di sbagliare, di non fare abbastanza, di non essere all’altezza.
IL VALORE DELLA RECIPROCITÀ
La parola dell’amore su cui dovremmo soffermarci con maggiore impegno è reciprocità, arricchendone il significato, includendo nel senso del suo scambio vicendevole tutte quelle accortezze essenziali per far circolare sorrisi, coraggio, verve, intraprendenza, sponsalità, comunione, apertura agli altri, ma soprattutto radicandola in una realtà più radicale che la fondi.
«L’ideale del matrimonio non si può configurare solo come una donazione generosa e sacrificata, dove ciascuno rinuncia ad ogni necessità personale e si preoccupa soltanto di fare il bene dell’altro senza alcuna soddisfazione» (AL 157).
La reciprocità richiede impegno vicendevole ad agire in modo che la vita insieme abbia sempre interesse al bene dell’altro e promuova stimoli nuovi, orizzonti variegati, finalizzati a mete condivise, contando primariamente sulla solidità affettiva tra i coniugi e con i figli, che sia amicale, complice, sintonizzata, capace di sprigionare energia, dedizione, allegria, contaminazione, coinvolgimenti, in un cammino di crescita permanente.
LA COMUNICAZIONE NELLA COPPIA
«L’amore di amicizia unifica tutti gli aspetti della vita matrimoniale e aiuta i membri della famiglia ad andare avanti in tutte le sue fasi. Perciò i gesti che esprimono tale amore devono essere costantemente coltivati, senza avarizia, ricchi di parole generose» (AL 133).
Qui Papa Francesco apre l’importante tema della comunicazione nella coppia, inserendolo in un’ottica di reciprocità e ancorandolo ai linguaggi dell’amore, che passano per le parole necessarie, si impegnano nella capacità di dialogo e di ascolto educanti, valorizzano condivisione, tenerezza ed interiorità.
Una canzone di un po’ di tempo fa diceva: “dammi tre parole…”, ebbene quelle del Papa sono: “permesso?”, “grazie”, “scusa”. Parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Sono parole che aprono ad una relazione di qualità, in cui le persone coinvolte hanno la piena consapevolezza di essere l’uno di fronte all’altro, unici e differenti, tuttavia con comunione di intenti, di finalità, di direzione. Ecco, ciò avviene appunto in una famiglia, luogo dove si impara l’esistenza ed il significato della relazione, perché ciascuno di noi è frutto di una relazione e vive necessariamente nelle relazioni.
RELAZIONI DIALOGANTI
Allora la reciprocità coniugale e familiare diventa scuola di relazioni dialoganti, dove si insegna a riconoscere e rispettare il valore e la verità dell’altro, a dargli parola e ascolto senza tacitamenti e senza sottomissioni, favorendo la specificità di ognuno nella diversità di opinioni, modi di essere e di operare, calandosi familiarmente nei panni dell’altro per comprenderne il punto di vista differente, accoglierlo per discuterne e sviluppare così un comune bagaglio valoriale.
«L’unità alla quale occorre aspirare non è uniformità, ma una “unità nella diversità” o una “diversità riconciliata”. In questo stile arricchente di comunione fraterna, i diversi si incontrano, si rispettano e si apprezzano, mantenendo tuttavia differenti sfumature e accenti che arricchiscono il bene comune» (AL 139).
Dal tirocinio fatto in famiglia ci si abilita alle innumerevoli relazioni sociali, dove poi inevitabilmente si porta il proprio senso di relazione e la propria unicità, fatta di un volto, un nome proprio, una storia, una libertà, un modo di essere originale e che mai dovrebbe essere influenzabile o omologato. La reciprocità suppone la relazione, la relazione buona e di qualità origina la comunione, la comunione è condivisione di vita e di senso, nel camminare insieme e nel comunicare il bene. Questa è la famiglia quando dà senso alla sua ricchezza: un’intima comunione costituita dalla coniugalità, dalla maternità-paternità, dalla fraternità. Qual è la sua radice? La Trinità: relazione, reciprocità, comunione e circolarità d’amore.
COSA È ESSENZIALE?
“La famiglia è stata pensata da Dio come immagine della Trinità. Deve quindi vivere la logica della comunione. Essa non è stata pensata come immagine neutra della Trinità, da incorniciare o chiudere in un album. Ma come immagine provocante, che provoca cioè gli uomini alla comunione, alla pace, alla convivialità delle differenze” (A. Bello, Icona della Trinità. Lettera sulla famiglia).
L’essenziale della reciprocità è quindi la partecipazione di ognuno al cammino dell’altro, con spirito propositivo e manifestazioni mai invadenti, è la circolarità armoniosa del dare, del ricevere, del ricomunicare e dell’essere insieme, per una comunione di vita che faccia maturare la famiglia e diventi esemplarità per il vivere sociale ed ecclesiale.
Cassiana Albanese
consulente familiare