C’è una luce che attraversa le parole e le trasforma in ponti, che unisce storie e costruisce fiducia: è il dialogo, anima di ogni autentica comunicazione. Nell’incontro di sabato 25 gennaio, nell’Aula Paolo VI, dedicato al ruolo dei comunicatori nel mondo contemporaneo, le parole di Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero delle Comunicazioni, e del giornalista Mario Calabresi, moderatore dell’evento, hanno risuonato come un invito a riscoprire il senso autentico della vocazione comunicativa, che non si limita a trasmettere informazioni ma diventa un vero e proprio servizio all’uomo.
Il dialogo: fondamento di una nuova comunicazione
Paolo Ruffini, nella sua introduzione, ha sottolineato l’importanza di tornare all’essenza del dialogo. Comunicare non significa solo parlare, ma condividere storie e intrecciare esperienze, creando uno spazio in cui l’altro possa sentirsi accolto e riconosciuto. È solo attraverso il dialogo che possiamo elaborare una nuova modalità di comunicazione, capace di rispondere alle sfide del nostro tempo, in cui la frammentazione e il conflitto sembrano prevalere.
Ruffini ha invitato i partecipanti a interrogarsi sul senso vero e autentico della vocazione del comunicatore. Non basta informare, né cercare consensi o visibilità: il comunicatore è chiamato a mettersi al servizio della verità e dell’umanità, tessendo legami che uniscono e non dividono, che aprono alla speranza e alla comprensione reciproca.
Comunicare speranza e fiducia
Mario Calabresi, moderatore dell’incontro, ha raccolto il testimone di questa riflessione e l’ha ampliata, ponendo una domanda cruciale: «possiamo comunicare la speranza e con speranza?». In un mondo spesso dominato da narrazioni negative, il compito del comunicatore è raccontare storie di bene e di speranza, capaci di ricostruire la fiducia nell’umanità.
Calabresi ha messo in guardia contro la tentazione di cavalcare il male, di scegliere narrazioni sensazionalistiche solo per attirare l’attenzione del pubblico, cosa che tradirebbe la vocazione del comunicatore, quella di dare voce a ciò che costruisce, guarisce e genera fiducia.
Chi è il buon comunicatore?
Il giornalista ha tracciato il profilo del buon comunicatore, un ideale che va oltre le competenze tecniche o le capacità oratorie. Il buon comunicatore partecipa, non rimane mai spettatore distaccato; ascolta, perché solo nell’ascolto si può comprendere l’altro; ed è vicino alle persone, vivendo con empatia e compassione le storie che racconta.
Ma, soprattutto, il buon comunicatore è colui che manifesta la parte migliore di sé, mettendo al servizio del prossimo la propria umanità, la propria autenticità e il proprio desiderio di contribuire al bene comune. Questo, ha concluso Calabresi, è il segreto per comunicare con speranza: non dimenticare mai che dietro ogni parola ci sono persone, volti, storie.
Un nuovo paradigma per la comunicazione
L’incontro ha lasciato un messaggio chiaro: la comunicazione non è solo un mestiere, ma una vocazione che richiede responsabilità, etica e dedizione. In un tempo in cui la fiducia è spesso minata, i comunicatori sono chiamati a essere costruttori di speranza, capaci di narrare il bene e di offrire orizzonti di luce anche nei momenti più bui.
Questo è il cammino che ci aspetta: comunicare non solo con le parole, ma con la vita, diventando strumenti di dialogo e di riconciliazione in un mondo che ha bisogno di riscoprire la forza dell’incontro e della speranza.