Tecnologia per la persona o persona per la tecnologia? È stato questo l’interrogativo che ha concluso l’incontro organizzato dall’Azione Cattolica della Parrocchia san Bernardino di Molfetta sulla nuova campagna lanciata dall’AC diocesana «#CollegaMENTI – Rel@zioni oltre le connessioni». Ad introdurre l’incontro il presidente parrocchiale Nicola Petruzzella che, dopo aver ricordato i punti salienti del convegno di apertura, ha sottolineato le direttrici dell’iniziativa (valorizzare la condivisione nella rete, lo “stare insieme”, il tempo per meditare e conoscere chi sta accanto, curare e proteggere la dimensione del privato) e l’importanza di approfondire l’argomento in ambiente parrocchiale.
Dopo aver letto il Vangelo della Visitazione, don Pasquale Rubini ha ribadito che i mezzi di comunicazioni, qualsiasi essi siano, devono essere usati responsabilmente, perché del loro uso rispondiamo alla nostra persona, alla comunità, alla famiglia e alla Chiesa. Cuore dell’incontro l’intervento della dott. Susanna Annese, docente di Psicologia Sociale dei gruppi all’Università degli Studi di Bari, che ha delineato una serie di aspetti della comunicazione e di rischi che potrebbe implicare una ingenua e inconsapevole navigazione in internet.
Ormai, nella maggior parte dei casi, la comunicazione attuale è mediata da computer (sigla CMC) perché necessita di una interfaccia, che può essere anche priva di una modalità percettiva: come ha spiegato la dott. Annese, la CMC è contraddistinta da tre ambienti (asincrono, sincrono e social networking) e da tre caratteristiche, ovvero la lingua della rete (testuale vs iconico), lo spazio e il tempo della rete (sincrono vs asincrono) e l’anonimato (frammentazione vs moltiplicazione delle identità). Di sicuro, internet presenta delle funzioni positive (ricerca, interazione, condivisione, partecipazione) tutte indirizzate alla realizzazione di relazioni semplici e non impegnative, come invece accadrebbe nella realtà, ma anche delle disfunzioni.
«Queste disfunzioni derivano dall’uso inadeguato e sregolato di internet, agevolato dall’anonimato e dai bisogni frustrati che sviluppano comportamenti illeciti e aggressivi – ha aggiunto la dott.ssa Annese -. Tra le disfunzioni più importanti, è opportuno menzionare i contenuti indesiderati, l’internet addiction, una vera e propria psicopatologia, il sovraccarico cognitivo per le troppe informazioni ricevute, il cyber bullismo che può anche essere cyber stalking, il sexting, una delle nuove piaghe che affligge gli adolescenti, l’adescamento e il multitasking, che provoca quell’effetto denominato popcornbrain».
Dunque, le relazioni in rete sono relazioni sociali? Possono esserlo, anche in assenza di immagini fisiche, con la distanza spaziale, il differimento temporale e l’anonimato. Mutuando la massima di Cartesio “Cogito ergo sum”, la dott.ssa Annese ha introdotto il concetto del “Condivido, dunque sono”, riprendendo quanto affermato da Pravettoni nel suo «Web Psychology»: «Essere digitali significa essere ciò che le nostre dita fanno trapelare di noi attraverso lo schermo. Abbiamo depositato il corpo, momentaneamente, dietro la tastiera. Ci siamo estesi al di là di noi stessi tramite il cursore. Tabula rasa: di noi possiamo fare e dire ciò che vogliamo».
«Quando le tecnologia hanno successo e penetrano in profondità in un dato contesto sociale, diventano ambienti di incubazione di nuovi principi culturali e arene per nuovi giochi sociali – ha continuato la dott.ssa Annese -. L’utente, inoltre, produce un senso autonomo dell’uso dei mezzi di comunicazioni e li ingloba nelle sue pratiche quotidiane, influenzando valori, norme e credenze socialmente condivise».
Per di più, tra interazione e identità esiste un rapporto direttamente proporzionale, a tal punto che la rete è un vero e proprio laboratorio di identità: tre sono i passaggi focali: se interagisco, sono visibile; se sono visibile, gli altri mi riconoscono; se sono riconosciuto, esisto. «È evidente che l’uso delle tecnologie e dei mezzi di comunicazione dev’essere “critico”. Occorre, innanzitutto, un nuovo patto educativo tra la tecnologia, noi stessi e gli altri, basato su attenzione, ascolto reciproco e rispetto delle regole – ha concluso la dott.ssa Annese -. Questo deve avvenire soprattutto in famiglia per evitare di consegnare ai nostri figli modelli sbagliati e di offrir loro oggetti e non valori, anzi è bene creare relazioni, rigettando il sempre più dilagante appiattimento verso le merci».
Purtroppo, internet può trasformarsi in una sponda per elaborare la propria identità, fino a diventare rifugio chiuso della mente e ad assumere i connotati di una vera e propria patologia. E così è erroneamente concepito come segno di onnipotenza e controllo completo di sé e del mondo, ma invece è solo una illusione perché è preludio alla depressione, all’autoincapsulamento e alla chiusura. Proprio per questo motivo, è necessario rafforzare ancora una volta la centralità della persona.
Ancora nessun commento