Il sesto comandamento custodisce il valore della fedeltà nel matrimonio, indica più in generale il comportamento moralmente corretto nell’ambito della vita affettiva e sessuale. È stato questo il tema “caldo” che il parroco di san Bernardino, don Pasquale Rubini, ha affrontato nell’ultima catechesi per la comunità parrocchiale: si tratta di un comandamento che riguarda il grande valore della castità, peraltro correlato al nono comandamento, che riguarda anch’esso l’ordine della sessualità.
Se nell’Antico Testamento il sesto comandamento biblico è rivolto anzitutto agli uomini (proibisce solo le relazioni sessuali di un uomo con una donna sposata o fidanzata ufficialmente), ma si applica anche alle donne, nel Nuovo Testamento, come ha spiegato don Pasquale, non solo si ribadisce la condanna dell’adulterio (Mt 5,27; 19,18; Gv 8,141), vedendone la colpevolezza nell’uomo e nella donna (Mt 531-32; I Cor 7,4)ma si insegna anche che la radice del male sta nel desiderio peccaminoso, anche se non attuato (Mt 5,28). Inoltre, accanto all’adulterio, in NT condanna anche il concubinato (l’unione illegittima di Mt 131-32; 19,9) e la prostituzione, sia da parte della donna che la esercita (come nell’episodio della peccatrice di Magdala in Lc 7,36-50) che da parte dell’uomo che se ne serve (Lc 15,13). è opportuno, come ha aggiunto il parroco, ricordare che il decreto del Concilio di Gerusalemme obbliga i cristiani a star lontani dalla fornicazione (At 15,29), che San Paolo bolla con parole roventi l’omosessualità (Rm 126-28) e, in particolare, che Cristo esalta la verginità (Mt 19,10-12), ripresa poi dallo stesso San Paolo (I Cor 7,1.26.34.38).
Fatta questa breve premessa storica, don Pasquale si è soffermato sul principio di legge morale-naturale per introdurre la prospettiva morale del VI comandamento. La legge naturale, come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica, indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale ed ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso.
Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana. È morale perché si basa sul bene, ovvero sulla realtà della persona umana che è uno in anima e corpo: scoprire questa unità significa raggiungere la felicità. Perciò, l’uomo, essendo uno, ha in sé dei significati che valgono anche per la sessualità.
Il sesto comandamento esprime le esigenze morali nel campo della sessualità e dell’amore: la sessualità è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna, dunque nel matrimonio l’intimità corporale degli sposi (con il suo significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale umano, ecco perché la fecondità è un dono e un fine del matrimonio e si concretizza nel dono del figlio) diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, poi, i legami del matrimonio sono santificati dal Sacramento, a tal punto che la coppia coniugale forma una carne sola, una «intima comunità di vita e di amore che, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale» (Gaudium et Spes, n.48).
Il matrimonio è, poi, offeso da vari peccati:
– l’adulterio, cioè l’infedeltà coniugale (seguendo l’insegnamento di Gesù anche l’ardire a nuove nozze in presenza di un precedente matrimonio);
– il divorzio, perché tra battezzati il matrimonio non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte;
– la poligamia, che contraddice radicalmente la comunione coniugale, poiché è contraria alla pari dignità personale dell’uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo;
– l‘incesto, che consiste in relazioni intime tra parenti o affini, in un grado che impedisce tra loro il matrimonio (la pedofilia può essere collegata all’incesto quando tale peccato è commesso da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia);
– la libera unione o convivenza, quando l’uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l’intimità sessuale.
Al VI comandamento fa riferimento anche la virtù della castità, che esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e, conseguentemente, l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità, nella quale si manifesta l’appartenenza dell’uomo al mondo materiale e biologico, diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell’uomo e della donna. La persona casta conserva l’integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l’unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio.
La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice. «La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma l’uomo ottiene tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù delle passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti» (Gaudium et spes, 17).
La castità, fisica e spirituale, come ha sottolineato don Pasquale, è offesa da vari peccati:
– la lussuria, che è il desiderio disordinato o la fruizione sregolata del piacere venereo (il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione;
– la masturbazione, che è l’eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo;
– la fornicazione, che è l’unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio;
– l’uso di contraccettivi che non rispettano i significati unitivo-procreativo dell’atto sessuale;
– la pornografia, che consiste nel sottrarre all’intimità dei partner gli atti sessuali, reali o simulati;
– la prostituzione, che offende la dignità della persona che si prostituisce, poiché la riduce al piacere venereo che procura;
– lo stupro, che indica l’entrata con forza, mediante violenza, nell’intimità sessuale;
– la pedofilia, che è uno scandaloso attentato all’integrità fisica e morale dei ragazzi, che ne resteranno segnati per tutta la loro vita (questo peccato è tanto più grave quanto più moralmente elevato è il ruolo e la vocazione di chi lo commette).
– l’omosessualità (e non la persona omosessuale) che designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso; appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (Gen l9,l-29; Rm 124-27; I Cor 6,940; l Tim 1,10), gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Nella morale l’affermazione della malizia degli atti omosessuali si basa su vari aspetti: questi atti sono contrari alla legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono della vita, non sono il frutto di un a vera complementarità affettiva e sessuale.