In questa terza domenica di Quaresima, Dio rivela il suo nome, Yahweh, un nome impronunciabile per il popolo ebraico, perché pronunciare il nome di una persona significa possederla, entrare in comunione profonda con lei. É opportuno, però, esprimere alcune importanti considerazioni sulle modalità con cui Dio rivela il suo nome. Innanzitutto, lo rivela non come un sostantivo, come le divinità pagane dell’Oriente, dell’antica Grecia o di Roma, ma con un verbo: “io sono colui che sono“ (la traduzione più conosciuta, ad indicare l’essere eterno e la fedeltà di Dio, che ha la pienezza dell’esistenza e dell’essenza).
In realtà, Dio si manifesta come liberatore e salvatore: dunque, sarebbe più corretto affermare che il tetragramma sacro è “io sono colui che mi manifesterò“ nella relazione di amore, presenza e potenza, fiducia e fedeltà con il popolo.
Per altro, Dio si rivela nella storia, anche negli eventi più drammatici, proprio quando ci chiediamo dove sia. Gesù, invece, non fa questi ragionamenti: attraverso degli esempi di cronaca nera del Vangelo di questa domenica e una parabola (fico sterile), Gesù non solo sottolinea la brevità del tempo, ma ci invita a convertirci. Il tempo è prezioso, è un dono di Dio da usare nel miglior modo possibile: perciò, dobbiamo seguire Gesù, nostro intercessore presso Dio, con cui è in comunione, a cui suggerisce di avere compassione dell’umanità sofferente (fico sterile). Solo Gesù è il nostro vero avvocato presso il trono dell’Eterno Padre. Perciò, in questo tempo di Quaresima, ricordiamoci che siamo chiamati a una conversione concreta, della mente, del cuore e delle azioni, perché siano conformi al Vangelo.
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