Riprendendo quanto scritto sul precedente numero del giornale in merito al Sacramento della Riconciliazione, sbaglia anche chi, consapevole dei propri limiti e riconoscendosi peccatore, ritiene trattarsi di una questione privata, dimenticando il mandato conferito agli apostoli da Gesù risorto: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv. 20,23). L’idea di poter ottenere, ordinariamente, il perdono dei nostri peccati mediante un rapporto diretto con Dio nasce dall’errata convinzione che il nostro peccato offenda Lui solo e non anche i fratelli che, insieme a noi, costituiscono le pietre vive dell’edificio Chiesa, corpo mistico di Cristo.
Professare la “Comunione dei Santi “, questa misteriosa solidarietà nella carità tra i credenti di ogni luogo e tempo, significa, infatti, essere consapevoli che le conseguenze del nostro peccato si ripercuotono sull’intera comunità: perciò, il perdono va chiesto non solo a Dio, ma anche alla Chiesa e ai fratelli che, nella liturgia di questo Sacramento, sono rappresentati dal sacerdote. La mediazione del ministro ordinato è , perciò, indispensabile perché si possa essere riconciliati con Dio e con l’intera comunità. A tale proposito, Papa Francesco (udienza di mercoledì 6 marzo 2014) sottolinea che «la comunità cristiana è il luogo in cui si rende presente lo Spirito Santo, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù».
Certamente, il dover confessare le nostre debolezze o, peggio, le nostre colpe al confessore è motivo di vergogna che, tuttavia, rende più efficace e meritoria la nostra capacità di superarla mediante un atto di profonda umiltà, indice di sicuro pentimento. Il fatto, poi, che il sacerdote possa essere egli stesso soggetto alla tentazione e al peccato ci dà la sicurezza di trovare in lui un efficace interprete della misericordia e della tenerezza di Dio. Il santo confessore Leopoldo Mandic, a proposito della misericordia di Dio, che sosteneva essere «superiore ad ogni aspettativa», arrivava ad affermare che «Dio preferisce i difetti che portano all’umiliazione piuttosto che la correttezza orgogliosa»: ecco perché, con molta dolcezza, dichiarandosi egli stesso grande peccatore, invitava quanti, a suo parere, esitavano per vergogna, ad accostarsi senza alcun timore al Sacramento del Perdono.
Un ruolo notevole nel riavvicinare i fedeli alla frequenza di questo sacramento va certamente attribuito alla capacità di accoglienza da parte del confessore che deve saper manifestare l’amore e la misericordia del Padre, la sua gioia per il ritorno a casa del figlio. Una gioia tanto grande da rendere quasi superflua la stessa richiesta di perdono. Questo Sacramento, piuttosto che ridursi ad una fredda e, molto spesso, monotona ripetizione dei peccati commessi, deve poter provocare in chi lo riceve, oltre al dolore per le offese arrecate ai fratelli e a Colui che ci ama di un amore infinito, la gioia di una vera conversione e del ritorno tra le braccia amorose del Padre.
Gaetano la Martire