La dispersione scolastica costituisce ancora oggi un allarmante fenomeno che incide pesantemente sulla crescita psico-sociale dei minori. È indispensabile che la lotta contro questo annoso problema inizi per tempo, sin dalla scuola dell’infanzia, prosegua, con sistematicità, in una cornice di continuità e sinergie di intervento, per dispiegarsi in una latitudine molto articolata di soggetti istituzionali e non e di iniziative psico-socio-assistenziali e pedagogico-didattiche.
Il tema della dispersione rinvia a molteplici fattori eziologici: famiglia, società, deprivazione economica, codice linguistico, strutture scolastiche, professionalità docente, a volte “deserto” istituzionale.
Appare chiaro, pertanto, che la dispersione, nella complessità di tanti aspetti fenomenologici, non si combatte solo a scuola, si combatte “anche” a scuola. La casistica, oggi, si può dire che sia più rilevante dal punto di vista “qualitativo” che “quantitativo”, da ciò la necessità di utilizzare tutte le risorse poste al servizio delle comunità. In particolare, ci si riferisce alla istituzionalizzazione del “Piano Sociale di Zona”, che, al pari di ciò che nell’urbanistica rappresenta un Piano Regolatore Generale, è un programma strategico che determina tutti i servizi sociali e le relative risorse finanziarie da mettere in campo a favore dei più deboli, con un lavoro di concertazione tra Comuni, Regione, ASL, privato-sociale ed istituzioni religiose.
Accanto a tali iniziative è fondamentale la riscoperta del ruolo forte della didattica e, quindi, di una rinnovata professionalità docente. La scuola italiana affonda le sue radici in quel secolo e mezzo di storia unitaria nel cui alveo si è realizzata la civilizzazione del nostro Paese. Sarebbe troppo semplicistico definire la scuola come luogo di pura trasmissione culturale e non identificarla anche come fattore determinante di cambiamento in una realtà che, da sempre, la vede interagire con la comunità sociale e le sue dinamiche politiche, culturali, economiche e religiose. La fatica è improba, il compito estremamente delicato. Un compito spesso ignorato, sottovalutato e, cosa ancora più grave, contraddetto da altri “attori”, a volte anche da chi dovrebbe essere più vicino al mondo della scuola: i genitori. La radicata convinzione di essere un buon genitore solo se si è “amici” dei propri figli determina l’abdicazione al proprio ruolo per non creare conflitti.
Un comico televisivo, con arguzia, ha definito i giovani d’oggi, ma non solo i giovani, la generazione della «testa bassa»; si dialoga ormai solo con tablet, smartphone, etc, apparecchiature queste depositate con assoluta superficialità nelle mani dei più piccoli da genitori disattenti e seguaci di effimeri status symbol. È all’interno delle famiglie che nascono negli adolescenti i primi sintomi di ribellione e di sbandamento, soprattutto quando nel nucleo familiare esistono situazioni conflittuali della coppia, che discreditano la figura e l’impegno genitoriali, rendendoli poco credibili e rispettabili. Siamo profondamente convinti che un ruolo significativo di indirizzo e di argine al dilagante nichilismo valoriale possa e debba essere svolto dalle Comunità parrocchiali, nelle quali parroci illuminati, che indossino l’habitus della Tradizione, attraverso le diverse forme e manifestazioni di aggregazione, sentano forte l’impegno di indurre il cattolico a confrontare la propria coscienza con gli insegnamenti della Chiesa e, quando i suoi atti non appaiono conformi, è d’uopo soffermarsi ad elaborare un’attenta riflessione sul proprio essere cattolico, al fine di non produrre guasti irreversibili, sanciti, purtroppo, anche da leggi “politically correct”.
Non può certo destare stupore l’affermazione che il primo allarmante sintomo della dissoluzione di una Nazione sia costituito dal disgregarsi della famiglia tradizionale.
di Matteo G. Azzollini