Comunicare in parrocchia è “fare comunione” ed “essere famiglia”. Questa breve frase può condensare il significato di una sana e autentica comunicazione intra ed extra parrocchiale, ispirata non solo alle disposizioni della Pontificia Commissione «Comunio et progressio» (1971), all’Istruzione pastorale «Aetatis novae» (1992) e al «Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della chiesa» (2004) della CEI, ma anche al messaggio che Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa per la 49esima Giornata Mondiale della Comunicazione, che nella Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi coincide anche con la Giornata del Settimanale Diocesano Luce&Vita.
Comunicare dev’essere, innanzitutto, al servizio di un’autentica cultura dell’incontro. La parrocchia, come la famiglia, è «un grembo fatto di persone diverse, in relazione», è perciò il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. Quanto più molteplici sono relazioni e più diverse le età, tanto più ricco e formativo sarà il nostro ambiente di vita, qualsiasi esso sia.
Così come scrive il Papa («è il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame»), i nostri legami interpersonali sono sì costruiti sul “buon” uso della parola, che dev’essere parola che educa, sorregge e consola, ma anche sulla «capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e, tuttavia, sono così importanti l’una per l’altra»: dunque, la comunicazione può essere considerata come scoperta e costruzione di prossimità, vissuta con gratitudine e gioia se si riducono le distanze e ci abituiamo a visitare l’altro. «Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa – aggiunge il Papa – e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie».
Costruire una cultura dell’incontro, come spiegava Papa Francesco nel messaggio del 2014, significa anche non avere timore di farsi cittadini dell’ambiente digitale «per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo». Insomma, chi comunica (parroco, catechisti, educatori, animatori, ogni singolo fedele) è prossimo quando aiuta a sentirsi uniti, a sentirsi vicini, a superare i muri che, purtroppo, dividono le persone. E comunicare bene significa essere pronti ad accettare l’altro, senza «avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti» che «bisogna imparare ad affrontare in maniera costruttiva». Per questo, quella famiglia e quella parrocchia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventano scuole di perdono: «il perdono è una dinamica di comunicazione – scrive il Papa nel suo messaggio per il 2015 -, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere».
Se nell’era digitale sono cambiate le modalità di fare e intendere la comunicazione, non deve, però, cambiare la sostanza. I media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri, a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana, ma comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, a comporre le differenze con forme di dialogo che ci consentano di crescere nella comprensione e nel rispetto. Occorre, perciò, che la connessione sia sempre accompagnata dall’incontro vero.
Se la Chiesa deve “uscire per strada”, non deve dimenticare che «tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita, uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza» (Messaggio del 2014). E gli Animatori della Cultura e della Comunicazione della Parrocchia san Bernardino (che quest’anno hanno ricevuto, per la prima volta in Diocesi, il mandato dal Vescovo) devono sapere che, proprio come ricorda Papa Francesco, «anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare fino ai confini della terra». Aprire le porte delle chiese vuol dire aprirle anche nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti.
La buona comunicazione, come il pane, va spezzata tra i commensali: ma questo richiede capacità di fare silenzio per ascoltare. «La sfida che oggi ci si presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione – continua Papa Framcesco nel Messaggio del 2015 -. L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse, anziché favorire uno sguardo d’insieme». La famiglia, così come la parrocchia, più bella e protagonista è quella che sa comunicare la bellezza e la ricchezza del rapporto umano, partendo dalla testimonianza.
di Marcello la Forgia (responsabile Equipe parrocchiale delle Comunicazioni Sociali)