Giornata Missionaria mondiale 2021, diffondere la Parola di Gesù che è «parola di speranza»

giornata missionaria mondiale 2021Soprattutto oggi i cristiani, nonostante il periodo difficile, devono diffondere la parola di Gesù che è «parola di speranza che rompe ogni determinismo e, a coloro che si lasciano toccare, dona la libertà e l’audacia necessarie per alzarsi in piedi». È quanto afferma Papa Francesco nel Messaggio per la 95ª Giornata Missionaria mondiale che si celebra oggi, domenica 24 ottobre 2021, sul tema «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).

Proprio in occasione della Giornata Missionaria, durante la Santa Messa delle ore 10:15, sarà conferito il mandato ad animatori, catechisti e formatori della Parrocchia San Bernardino. 

 

LA MISSIONE DELLA COMPASSIONE

«In questo tempo di pandemia, davanti alla tentazione di mascherare e giustificare l’indifferenza e l’apatia in nome del sano distanziamento sociale, è urgente la missione della compassione capace di fare della necessaria distanza un luogo di incontro, di cura e di promozione». L’invito del Papa è rivolto a tutti, perché «la nostra vita di fede si indebolisce, perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento personale o chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige una crescente apertura capace di raggiungere e abbracciare tutti. I primi cristiani, lungi dal cedere alla tentazione di chiudersi in un’élite, furono attratti dal Signore e dalla vita nuova che egli offriva ad andare tra le genti e testimoniare quello che avevano visto e ascoltato: il Regno di Dio è vicino».

 

giornata missionaria mondiale 2021VEDERE COME GESU’

Cosa testimoniamo al mondo noi che crediamo in Gesù di Nazareth? Qual è il centro della testimonianza di noi cristiani? Qual è la profezia decisiva del nostro essere uomini e donne della Chiesa di Cristo? La specificità del credere da cristiani ha a che fare essenzialmente con una conversione dello sguardo e, precisamente, con la capacità di assimilare il modo di “vedere” che fu proprio di Gesù: di fare nostre cioè la traiettoria e l’intensità con cui Gesù ha visto (e ha insegnato a vedere) Dio, il mondo e sé stesso. Di fare nostri i suoi occhi.
Vedere come Gesù significa accogliere la buona notizia che è al centro del Vangelo e cioè la rivelazione della paternità divina. Sotto questa luce, non è affatto un caso che Gesù concentri tutto il suo insegnamento nel grande comandamento dell’amore. Gesù puntualizza anche l’ordine con cui l’amore va esercitato.

È Dio che va amato per primo, perché è da Lui – dalla sua paternità – che possiamo ricevere vero riscontro della bontà del nostro essere e così poter andare generosamente incontro all’altro e lasciare che l’altro venga incontro a noi senza dovere accedere ad alcun ricatto per ottenere il nostro amore. Amare, del resto, indica esattamente l’accoglienza dell’altro nella sua differenza ed il lasciarsi accogliere da altri nella propria differenza, sapendo appunto che anche l’altro è indirizzato fondamentalmente a Dio, e che è da Lui, non da noi, che potrà ricevere la garanzia essenziale circa la bontà della sua vita che sola gli farà benedire il suo stare al mondo.
La prima forma di testimonianza, allora, che i cristiani sono chiamati a esprimere, vivendola ovviamente, è esattamente questa della loro fede in un Dio che è padre: che è padre di ciascuno e perciò di tutti; che è padre e dunque radice ultima della comune umanità che stringe tutti in un medesimo destino di vita buona; che è padre e dunque garanzia assoluta che nessuno è mai lasciato in balia del male. L’amore tra gli umani trova perciò il suo sostegno e la sua garanzia nell’amore che ciascuno e ciascuna saprà riconoscere a colui che Gesù ci ha mostrato essere il Padre di tutti.

 

IL RICORDO DEI MISSIONARI

Nel Messaggio, il Papa ricorda anche i missionari, che hanno lasciato tutto per la missione. Conclude Bergoglio: «Oggi Gesù ha bisogno di cuori capaci di vivere la vocazione come vera storia d’amore, che li faccia andare alle periferie del mondo e diventare messaggeri e strumenti di compassione. È una chiamata che rivolge a tutti, seppure non nello stesso modo. Ricordiamo che ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico bensì esistenziale. Sempre, ma specialmente in tempi di pandemia, è importante aumentare la capacità quotidiana di allargare la nostra cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non li sentiremmo parte del “mio mondo”, benché siano vicino a noi».

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