Sono state interessanti le indicazioni ricevute e la riflessione di don Vito Bufi nel ritiro diocesano per i Gruppi parrocchiali delle Famiglie, che si è svolto lo scorso 20 dicembre nel Seminario Vescovile, organizzato dall’Ufficio diocesano per la Pastorale delle Famiglie. Il ritiro, su suggerimento di Papa Francesco per l’inizio del Giubileo della Misericordia, è stato incentrato sulle opere di misericordia corporale e spirituali, con l’obiettivo di riscoprire le opere di misericordia corporali (dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti).
La riflessione di don Vito ha focalizzato l’attenzione su un passo del Vangelo di Luca (7,44-46): «E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi”».
Da questo passo del Vangelo sono emersi tre segni dell’accoglienza concreta verso il forestiero, tre segni compresi nell’unico gesto di “abbassarsi ai piedi dell’altro”: le lacrime e i capelli simboli di chi ha compassione dell’altro, di chi soffre per la sua condizione; il bacio, proprio di chi vuole entrare in relazione profonda con l’altro (comunicazioni di sentimenti, di affetto, di amore); il profumo, simbolo di chi ridona dignità e vita all’altro (la sua fragranza ricorda a noi e all’altro il piacere dell’incontro e la volontà di ritrovarsi ancora). Al centro di questo passo evangelico è la figura della donna, il suo amore abbondante, in contrasto con il poco amore del fariseo: Simone non ha procurato acqua per lavare i piedi, non ha dato il bacio di benvenuto, non ha unto la testa, mentre la donna ha colmato queste mancanze con il proprio essere e con i suoi gesti umili. Il fariseo non ha peccato contro l’ospitalità, ma gli è mancato quel “di più” che la donna ha in abbondanza e che è il segno della conversione, dell’accoglienza dell’annuncio di Gesù, l’amore misericordioso.
La riflessione si è conclusa con la lettura di un brano di don Tonino, «Non passa lo straniero», in cui si riflette sulla figura di Rut. Dalla sua avventura si può leggere il giudizio di Dio su questa «impressionante transumanza di gente alla deriva». La sua storia ci interpella «non solo con la forza esemplare del paradigma,ma anche con la sollecitudine di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri sul nostro territorio». «Lei ci dimostra che la fusione di etnie è possibile, anzi appartiene ai progetti che costituiscono la sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà. In secondo luogo, la sua storia ci porta a vincere gli istinti xenofobi che sono dentro di noi, che scatenano all’interno delle nostre raffinatissime città inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza di razzismo. Perché lo straniero mette in crisi due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità – si legge nel brano -. Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa, ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi. Dall’altra, sembra attentare ai nostri connotati sfida la compattezza del nostro mondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il deposito delle nostre tradizioni. La testimonianza di Rut fa comprendere che la segregazione è la risposta più sbagliata al problema razziale. Il suo messaggio di universalità lascia cadere tutti i covoni».
di Anna Maria Farinola