«Sfuma il turchino / in un azzurro tutto/ stelle. Io siedo / alla finestra e guardo. / Guardo e ascolto; / perché in questo / è tutta la mia forza: / guardare ed ascoltare». S’intitola semplicemente “Meditazione” questa poesia di Umberto Saba. È spontaneo proporre questi versi durante i giorni festosi che stiamo trascorrendo: nel susseguirsi dei raduni tra gli ovattati tepori domestici, intorno a tavolate imbandite, il tempo pare quasi rallentare e anestetizzarci e perfino distrarci dal cuore del Mistero che celebriamo.
“Guardare e ascoltare”: farne esercizio può aiutarci a ridestarci ed a recuperare la “concentrazione del cuore”. Due sensazioni capitali della vita espresse attraverso questa coppia verbale, «guardare ed ascoltare». L’occhio e l’orecchio sono fondamentali nella conoscenza ma anche nell’esistenza. Attraverso essi noi scopriamo la bellezza della realtà, ma riusciamo anche a intuirne il Mistero perchè «L’occhio non è mai sazio di guardare né l’orecchio è sazio di udire» (Qohelet 1,8).
Ascoltare (da latino “auris”, orecchio) significa letteralmente «stare a sentire attentamente, prestare l’orecchio». Proprio per questo, vuol dire anche «ubbidire, esaudire». L’ascolto è collegato al volgere attenzione all’animo, alla mente ma anche all’altro, al mondo o anche a se stesso. L’ascolto nasconde l’esercizio interiore di colui che riesce a non distrarsi dalla confusione, dentro e fuori di sé: riesce a far tacere le tante voci e fa silenzio. «Per ascoltare occorre tacere. Non soltanto attenersi a un silenzio fisico che non interrompa il discorso altrui ma a un silenzio interiore, un atteggiamento rivolto ad accogliere la parola altrui. Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni» (G. Pozzi, Tacet).
Nella mitologia greca “ascoltare” e “vedere” erano considerate facoltà che mettevano in comunicazione l’uomo con il volere divino. Nella tradizione biblica è Dio ad ascoltare il grido dell’uomo che soffre (Es 3,7), il grido del sangue di Caino che proviene dalla terra (Gen 4,10). A sua volta, l’uomo ascolta la Parola di Dio come un discepolo, come uno che ha sempre da imparare, per indirizzare allo sfiduciato una parola (Is 50,4-5). Saper ascoltare è come apprendere un’arte, affermava Plutarco e per saper usare bene la parola bisogna prima imparare ad accoglierla: se la natura ci ha dotato di due orecchie e di una lingua sola, è perché si è tenuti ad ascoltare più che a parlare. Eppure siamo intasati di rumori e chiacchiere: «Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori. Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini» (G. Pozzi).
Ridestiamoci dunque, attraverso un esercizio tanto semplice quanto ardito: “Guardare e ascoltare”. La stessa fede si regge sull’ascolto della parola divina e sulla contemplazione del volto di Dio. E nella notte buia e silenziosa è paradossalmente più facile «guardare ed ascoltare» l’epifania della luce e del Mistero che ci trascende.
Francesco de Leo
seminarista