Cosa ci chiede il Sinodo? Di cambiare lo stile pedagogico e pastorale: di trovare nuove forme di trasmissione capaci di suscitare passione, bellezza, senso e contenuti. Come il cambiamento e l’innovazione possono diventare circuiti virtuosi? Quando ci sentiamo inclusi nei processi costruttivi delle comunità sociali, parrocchiali ed ecclesiali di cui siamo parte integrante.
Per sviluppare innovazione è necessario per chi accompagna gruppi e comunità «essere attenti, affettuosi, fiduciosi, consapevoli di essere una base sicura che promuove la salute emotiva» (“Prendersi cura del cammino sinodale”, a cura di Laura Ricci e Luca Vitali, EdB 2023, pag. 74).
Costruire la fiducia reciproca
«Lavorare in gruppo aumenta l’intelligenza collettiva, la resilienza sociale e la propensione ai cambiamenti. Al contrario, quando ci sentiamo socialmente esclusi, siamo meno performanti a livello mnemonico, lavoriamo più lentamente, diminuisce la nostra capacità di aver cura per i dettagli e riduciamo il controllo delle nostre attività» (ibidem, pag. 74). È, dunque, la relazione che genera cambiamento e innovazione, anche nelle comunità parrocchiali. E, nel concetto di relazione, rientrano anche
- la riduzione delle gerarchie (che ingessano il corpo ecclesiale);
- la condivisione di idee e informazioni e la gestione veloce, snella e funzionale della comunicazione;
- l’accettazione dei fallimenti e la corresponsabilità (senza il consueto “scarico” di responsabilità);
- la libera circolazione delle idee e la critica serena, volta al miglioramento e all’analisi dei difetti di certe proposte, non della persona che le partorisce;
- sviluppare la creatività e hackerare processi e metodi pastorali ormai non più performanti, validi o obsoleti.
«Ha senso innovare se lo si fa per riuscire a trasmettere in modalità e linguaggi nuovi e comprensibili l’amore di Dio agli uomini e alle donne di oggi, laddove essi si trovino» (ibidem, pag. 78).
Come suggerito dal libro “Prendersi cura del cammino sinodale”, l’innovazione ha bisogno di due atteggiamenti “in uscita”: compassione e curiosità.
La compassione «ha origine dal riconoscimento profondo della normalità della sofferenza e dal nostro essere semplicemente umani»: richiede, pertanto, «la capacità di riconoscere ciò che proviamo, astenendoci dal giudicare l’esperienza». Anzi, è importante anche «avere compassione di noi stessi», perché favorisce il dialogo interiore con la nostra parte benevola e protettiva, «capace di accogliere la vita nei suoi multisfaccettati lati, compresi errori, cadute e dolori» (ibidem, pag. 78-79).
Essere innovatori appassionati
La Chiesa, ci ricorda Paolo VI nella Esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”, esiste per evangelizzare (EN 14). E Papa Francesco, nella sua Esortazione “Evangelii Gaudium”, sottolinea come non esiste un discepolato che non sia missionario (EG 120). Per questo motivo, il rinnovamento (innovazione) è comprensibile solo se poggia su una scelta missionaria chiara, esplicita e appassionata.
«La comunità credente per corrispondere alla propria vocazione di segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano, deve accettare di abitare in una mai cessata novità, perché il vino nuovo del Vangelo cerca sempre otri nuovi, spazi nuovi, modalità creative e innovative» (ibidem, pag. 81).
Sull’esempio di Gesù, il Sinodo chiede di ascoltarci di più e un po’ tutti, ma soprattutto di mettere a tema il come lo facciamo, il come pensiamo di decidere, il come ci rapportiamo con gli altri e tra noi. Non ci invita a ragionare su qualcosa di esterno o di formale, ma sul modo di essere, mettendo a tema lo stile degli incontri con le persone.
Il bilancino dell’innovazione
La cultura dell’innovazione si regge su un bilanciamento complesso fra aspetti spesso anche in apparente contrasto fra di loro: creatività/organizzazione, gestione del tempo e progettuale/flessibilità e adattabilità, responsabilità individuale/lavoro di gruppo, confronto sincero/eliminazione dei colpevoli. Non a caso di innovazione tutti parlano, ma in pochi la realizzano compiutamente.
A volte ci si sente come equilibristi sospesi su un filo o trapezisti che devono calcolare al millimetro ogni mossa per unire sicurezza, precisione e performance spettacolare.
Innovatori non si nasce né ci si inventa. La natura può aiutare in alcune caratteristiche, ma poi è il continuo e difficile lavoro di mettere insieme in armonia aspetti differenti e complessi che fanno veramente la differenza.