«Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”». Questo passo del Vangelo di Matteo (25, 34-36), unitamente a un altro passo dell’evangelista («Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato. E chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa» – Mt 10, 40-42) e della Lettera ai Romani scritta da San Paolo («Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio» – Rm 15,7) rappresentano una risposta chiara ed esauriente alla incalzante problematica sociale legata all’immigrazione dei fratelli dall’Africa e dall’Asia Minore e alle relative politiche di accoglienza. Sì, nostri fratelli, forse non nella fede, ma nella dignità umana di persone.
L’accoglienza è una dimensione della carità: il dono dello Spirito inabitante nel cuore di noi credenti battezzati ci rende capaci di amare tutti i fratelli con la stessa carità e le stesse caratteristiche che sono in Dio. Ma proprio questa accoglienza oggi si scontra con la paura dell’altro e del diverso, con politiche – a volte promosse e caldeggiate dai cristiani – che tendono al soggettivismo e all’egoismo e che muovono proprio sulla paura del terrorismo, sull’assenza del lavoro, sull’accaparramento dei beni materiali, sulla logica dello scarto.
L’indifferenza e il silenzio (anche dei cristiani) aprono, perciò, la strada alla complicità non solo con le innumerevoli cause degli attuali flussi migratori, ma anche a certe politiche e atteggiamenti “razziali”. Siamo abituati a condividere pensieri, post e foto sui social network, forse per assecondare la nostra “superficiale” coscienza o per essere compiaciuti dagli altri: ma non riusciamo a riflettere con autenticità cristiana sulla problematica, ancor meno quando si tratta di difendere la persona.
L’integrazione umana può essere vicendevole arricchimento e aprire positivi percorsi per le nostre comunità, annullando il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia. Per altro, la rivelazione cristiana incoraggia l’accoglienza dello straniero, motivandola con la certezza che, così facendo, si aprono le porte a Dio e nel volto dell’altro si manifestano i tratti di Gesù Cristo. Così noi cristiani possiamo riconoscere la voce di Gesù Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso» (Ap 3,20).
Purtroppo, come scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2016, «non cessano di moltiplicarsi i dibattiti sulle condizioni e sui limiti da porre all’accoglienza, non solo nelle politiche degli Stati, ma anche in alcune comunità parrocchiali che
vedono minacciata la tranquillità tradizionale». Come rispondere a queste derive? La risposta del Vangelo è la Misericordia. «Ognuno di noi è responsabile del suo vicino: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano – aggiunge Papa Francesco -. È importante guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al progresso di tutti».
La mancata accoglienza di qualsiasi fratello, da dovunque egli venga e di qualsiasi confessione sia, è espressione di un cristiano carente sul piano della Carità. Atteggiamenti selettivi o emarginanti renderebbero l’annuncio dell’amore di Dio un annuncio sterile e inefficace, una contro testimonianza. Riviviamo le esperienze più dolci di quando, bisognosi e soli, ci siamo sentiti accolti dal fratello e dal Signore Gesù ed operiamo instancabilmente per avere cuore e mani aperte e pronte all’accoglienza del fratello.
di Marcello la Forgia