Il 4 dicembre del 1963 veniva solennemente promulgata la Costituzione «Sacrosantum Concilium» sulla sacra liturgia, primo frutto del Concilio Vaticano II (ottobre 1962 – 7 dicembre 1965), fortemente voluto da San Giovanni XXIII. Scopo del Concilio, secondo quanto nell’allocuzione «Gaudet Mater Ecclesia», era quello di proporre, in forma nuova ed adeguata ai tempi, la dottrina e la tradizione della Chiesa. Non sui contenuti immutabili della fede, dunque, si sarebbe dovuto intervenire, non sul “depositum fldei” di cui il Papa è fedele custode, ma sulla loro presentazione da rendere, il più possibile, efficace ed adeguata alla sensibilità e alla cultura contemporanea.
Questo obiettivo era ancor più valido per la liturgia, sostanzialmente regolamentata dai canoni del Concilio di Trento (sec. XVI). I Padri conciliari, riaffermando che la salvezza è continuamente donata da Cristo attraverso la sua presenza costante in tutte le azioni liturgiche, in unione col suo Corpo mistico che è la Chiesa, riconobbero il ruolo attivo dei fedeli laici nell’ambito del Popolo di Dio.
Al paragrafo n.7 della «Sacrosantum Concilium»: «Per realizzare un’opera così grande [ndr, la nostra salvezza] Cristo è sempre presente nella nostra Chiesa. […] È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del Ministro […] sia sotto le specie eucaristiche. È presente nel sacramenti al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, perché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente, infine, quando la Chiesa prega e loda Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt. 18,20 )».
Riconoscere che tutto il Popolo di Dio è partecipe del Sacerdozio regale di Cristo, comportava la necessità di consentire ai fedeli laici una partecipazione attiva e consapevole a tutte le celebrazioni. A tale scopo, i Padri conciliari, tenuto conto della grande varietà di usi e costumi, di cultura e di tradizioni dei Cattolici presenti in tutti i Continenti e, precisato che l’ordinamento liturgico compete alla gerarchia e che a nessun altro, anche se sacerdote, è consentito assumere iniziative personali, piuttosto che stabilire norme ben precise valide per tutti, si limitarono a definire gli ambiti e i limiti entro cui era demandata alle competenti Conferenze episcopali territoriali la responsabilità di regolamentare il rinnovamento.
Di fondamentale importanza è ritenuta l’educazione dei fedeli, cui bisogna far comprendere che le celebrazioni liturgiche sono, di per sé, comunitarie e che in esse Ministri e fedeli hanno ruoli diversi a cui è strettamente necessario attenersi. Anche i ministranti, i lettori, i commentatori, i membri del Cori svolgono un ministero liturgico che richiede sincera pietà e disciplina. Nulla, insomma, deve essere trascurato al fine di conferire dignità e decoro a ciascun rito.
di Gaetano la Martire