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Con paranoica ripetitività, all’approssimarsi delle festività natalizie, in diversi istituti di cultura e formazione (sic), le scuole, si assumono decisioni censorie in merito all’allestimento del Presepe. La “dittatura” della minoranza, corroborata e corrotta dal politically correct di presidi presepicidi, intinge il proprio credo nel crisma di un autarchico stravolgimento fideistico, infoibando le voci dissenzienti quali provocatorie, reazionarie, razziste: poverini! Il Presepe offende i non cristiani.
Il Presepe è la nascita di un bambino, di una famiglia che si fa Comunità. È il cielo stellato in una fredda giornata invernale, è la consacrazione della famiglia, quella composta da madre, padre e figlio e celebra l’intima serenità della casa, seppur rappresentata da una povera grotta. Bambini e adulti di ceto diverso creano insieme una miniatura di universo e umanità. In quel paese, che si chiama città del pane (Betlemme), riconoscono il loro paese e in quei personaggi di pastori, venditori, viandanti ritrovano i volti dei loro conoscenti.
Il Presepe è il modo concreto e favoloso per rappresentare l’alleanza tra il cielo e la terra, tra uomini e animali, tra Oriente e Occidente. Persino i Re Magi rispettano l’integrazione, perché uno dei tre è moro. Nel Presepe s’impara a riconoscere e amare la natura con il muschio vero e la neve finta, con le montagne in cartapesta ed i fiumi e i laghetti fatti con gli specchietti “rubati” alle mamme. Tutti, uomini ed animali che si dirigono verso la grotta, testimoniano l’anelito di una miracolosa fiducia nell’avvenire. Chi può sentirsi offeso da un inerme Bambinello che nasce, da un tributo d’amore dal volteggiare di angeli che cantano? Al più, per i bambini non credenti il Presepe rappresenta solo un racconto fiabesco. Per noi credenti, il Presepe è il sacro a misura d’uomo. Chi ha paura di un “Tu scendi dalle stelle”, fra candeline, sorrisi e gesti di accoglienza e solidarietà? Desta, pertanto, sconcerto l’assordante silenzio di voci che avremmo voluto ascoltare stentoree in difesa della grandezza dell’invenzione di san Francesco: il Presepe, che, nel 1223, rappresentò la prima poetica biblia pauperum, ripresa poi in versioni manoscritte o silografiche, nelle quali ogni pagina era formata da illustrazioni per favorire la comprensione anche a chi non sapesse leggere.
E molto sommessamente, cospargendomi il capo di cenere, mi permetto di suggerire ai parroci e alle gerarchie ecclesiastiche di “invadere” navate, cupole, cappelle con la sacralità del “miracoloinvenzione” di san Francesco, non contaminato da “segni” che disorientano i cattolici in tempi in cui il cristianesimo sta forse perdendo identità e la religione, a mio modestissimo parere, e si sta trasformando in semplice attività sociale.
A me pare, ma è forse colpa del mio sguardo distratto, che, con il trascorrere degli anni, gli spazi dedicati alla nascita di Gesù diventino sempre più angusti, a guisa di errate faccende domestiche svolte da una sprovveduta massaia che restringe le fibre dei propri capi di vestiario con l’uso di inadatti detersivi. Sono inconcepibili tali stravolgimenti
se con Don Tonino «…la Trinità, oltre che archetipo, è anche tavola promessa del genere umano. Oltre che modello originario, cioè, è anche approdo finale della nostra esistenza terrena » (di Antonio Bello, Icona della Trinità – Lettera sulla famiglia – edizione La Meridiana).
Matteo G. Azzollini
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