Tutto era finito quando Gesù di Nazareth «dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37)? In realtà con quel grido tutto era ricominciato. Il suo non è il rantolo del moribondo, ma il grido del neonato: mentre muore alla vita terrena, Cristo rinasce alla vita nuova e diviene «spirito datore di vita» (1Cor 15,45). A quello del Venerdì Santo fa eco il grido del mattino di Pasqua: «È risorto, non è qui» (Mc 16,6). Ma non è fuggito da noi! Dal nostro mondo impastato di bellezza e di miseria, dalla nostra umanità che ci espone alla fragilità e ci sbilancia nell’infinito.
Ora lui sta con noi più di prima. Perché non è reperibile solo in Palestina, ma dovunque l’uomo lotta, soffre e spera. Proprio perché è risorto non ci lascia più: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) senza più i limiti del tempo e i condizionamenti dello spazio. Salendo al cielo, vive nell’amore del Padre e rimane con noi, stringe tutti e ciascuno, si fa contemporaneo a ogni avvenimento, compagno di viaggio di ogni cammino, interlocutore di ogni esistenza. La grazia della Pasqua è di risorgere con lui, di morire al peccato e di non vivere più per noi stessi. Infatti incontrare il Risorto significa trovare un tesoro, facendo esperienza che non c’è vita più umana di quella cristiana.
San Paolo, nella lettera ai Romani, scrive: «Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,7-8). Ormai la contraddizione per i cristiani non è più tra la vita e la morte, ma tra il vivere per il Signore e il vivere per se stessi. Vivere per se stessi è il nuovo nome della morte.
E oggi cosa significa non vivere per se stessi, ma per il Signore? Non basta per i cristiani avere un comportamento “equo e solidale”, ma occorre un amore capace di vincere ogni giorno la forza di gravità del proprio egoismo: sacerdoti, catechisti ed educatori che non si limitino a parlare di Dio, ma diventino persone in cui Dio si racconta; operatori pastorali non preoccupati delle cose di Chiesa, ma innamorati del Maestro e Signore, della Comunità e della propria vocazione; sposi che non si accontentino di non tradirsi, ma che puntino su una gratuità totale al punto da potersi dire non: «Ti amo perché ho bisogno di te, ma ho bisogno di te perché ti amo»; politici che non solo non pensino ai loro affari di bottega, ma si preoccupino innanzitutto del bene comune, che non si limitino a garantire i diritti, ma che pensino ai bisogni della gente, che non si impegnino solo per la sicurezza di alcuni, ma si spendano per la solidarietà verso i più poveri; economisti e finanzieri capaci di mostrare che con la fede le generazioni future non saranno mai povere, ma senza la fede non saranno mai veramente ricche. In una parola non occorrono delle persine buone, ma delle persone nuove, capaci di parlare la lingua del Vangelo con la vita come Cristo: a mani aperte e a braccia spalancate.
Auguri di Buona Pasqua.
don Pasquale