«Andiamo a fare i sepolcri». «Dobbiamo visitare 7 sepolcri». O ancora peggio: «Andiamo a fare le 7 chiese». Cattiva usanza, quella di “fare i sepolcri” perché non solo evidenzia la pochezza verbale di molti fedeli che si dicono “cristiani”, ma soprattutto ne manifesta l’ignoranza. Ignoranza che si trasforma in malcostume e superficialità spirituale, quando la visita al repositorio (dove si adora Gesù che non è morto, ma che è il Vivente) assume i connotati di una passeggiata serale con gli amici e di un ritrovo per mangiare e scambiare due chiacchiere.
Valore spirituale
La “tradizione” del Giovedì Santo, che nasce dalla pietà popolare e, a secondo delle località, si colora di elementi folcloristici, deve essere vissuta come un momento di intensa adorazione di Colui che, per amore, ha donato la sua vita («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici», Giovanni 15,13). Dobbiamo eliminare qualsiasi cattiva abitudine di spettacolarizzazione e, soprattutto, la tendenza allo spiritualismo mondano: adoriamo Gesù, preghiamo, ringraziamo il Signore che, nonostante i nostri peccati e le nostre mancanze, ha annullato la distanza tra noi e Lui, facendosi uomo, contempliamo l’Amore che ci ha donato la salvezza.
Per questo motivo, quella del Giovedì Santo (per la nostra Parrocchia e per la Confraternita dell’Immacolata) ha assunto la forma di “adorazione itinerante”, in cui si recita il Rosario, si prega e si adora Gesù. Per altro, la pia pratica “del repositorio” non deve oscurare il valore primario dell’azione liturgica, «con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati» e nella quale «Cristo associa a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto all’eterno Padre» (Sacrosanctum Concilium, 7): “fare i sepolcri” significa visita-re qualcosa o qualcuno che è morto e, purtroppo, è proprio questo errato atteggiamento mentale che ci fa dimenticare la resurrezione, la salvezza, l’Amore di Gesù, che è il Vivente. Al centro della vita di fede cristiana sta la Pasqua del Signore, il suo passaggio da questo mondo al Padre: la Quaresima, la Settimana Santa e il Triduo pasquale devono essere il mezzo e non il fine.
Valore storico
È opportuno sottolineare che la “tradizione” del pellegrinaggio alle nella sua forma originaria è dovuto a san Filippo Neri: le chiese toccate erano le grandi basiliche romane (san Pietro, san Paolo fuori le mura, san Giovanni in Laterano, san Lorenzo, santa Maria Maggiore, santa Croce in Gerusalemme e san Sebastiano). Al Medioevo, invece, risale la cosiddetta visita a quello che impropriamente viene chiamato «sepolcro», forse derivato dalla devozione all’umanità sofferente di Cristo o dal santo Sepolcro di Gerusalemme.
Senza dubbio, il termine «sepolcro» non appartiene ai testi liturgici e le indicazioni della Chiesa sono chiare. Come indicato nel 1988 dalla Congregazione per il Culto divino nel suo documento per la “Preparazione e celebrazione delle feste pasquali”, «il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro» e si deve evitare il temine “sepolcro”: infatti la cappella della reposizione è allestita non per rappresentare la “sepoltura” del Signore, ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, distribuita il venerdì nella passione del Signore.
La custodia è un invito a quell’adorazione singolare che segue la celebrazione della messa nella Cena del Signore: perciò, è importante partecipare il più possibile alle celebrazioni liturgiche del triduo, tenendo presente anche i momenti in cui la comunità si raduna per la celebrazione della liturgia delle ore. Questa è la preghiera della Chiesa alla quale come battezzati siamo invitati a partecipare prima di ogni altro rito. Alla luce di questa priorità, la visita alle chiese, dove è riposto il Santissimo Sacramento, può essere un’occasione molto opportuna per riflettere nel silenzio della preghiera personale sul mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.
di Marcello la Forgia