Tra i diversi effetti della recente pandemia, c’è da annoverare un risultato importante, che tuttavia non rientra nelle statistiche e negli aggiornamenti quotidiani. La diffusione del contagio ha permesso di riflettere ulteriormente sulla vita, sulla sua precarietà e, di conseguenza, sull’importanza della sua cura. A tal fine si è avvertito con maggiore urgenza la necessità di ripensare l’organizzazione sanitaria e non, di programmare l’investimento di risorse aggiuntive, di attuare piani di assistenza delle categorie più a rischio.
La pandemia ha “soltanto” ampliato un’attenzione per la cura della vita che nella cultura sociale è già diffusamente presente. Si pensi all’interesse sempre maggiore per l’healthy food, oltre ai numerosi centri di benessere e di attività motoria. Ma la cura per la vita va ben oltre l’attenzione all’aspetto fisico o alla salute del corpo. La cura della vita richiede che non si guardi soltanto all’efficienza, alle prestazioni da migliorare o alle imperfezioni da sottoporre a lifting, ma che si riconosca la dignità che possiedono anche condizioni di vita meno ottimali, e dunque maggiormente bisognose di attenzione e di cura perché più precarie. È questo un grande paradosso dei nostri tempi, in cui da un lato si esalta la cura per se stessi, mentre dall’altro lato non si supporta abbastanza la cura per il concepimento, per tutelare sia madre che nascituro; per incentivare la natalità; per sostenere le famiglie nelle diverse tappe della vita familiare; per garantire condizioni di vita e assistenza dignitose anche nella fase in cui la vita si avvicina al suo epilogo.
Accanto a queste considerazioni che evidenziano in particolare la necessità di prendersi cura della vita nella sua dimensione sociale e fisica, occorre tuttavia allargare ancora di più lo sguardo. La vita infatti non è limitata solo alla sua dimensione sociale e materiale, e lì dove ci si fermasse solo a questo aspetto, la vita risulterebbe sminuita rispetto al grande mistero che rappresenta. Molto spesso alcune sofferenze, patologie o scelte materiali, hanno la loro matrice nella dimensione psicologica e spirituale dell’esistenza. Lì dove non ci si prendesse cura anche di queste dimensioni della vita, il valore della vita stesso ne sarebbe impoverito. Per questo, il contributo che una comunità parrocchiale può offrire alla cura della vita è davvero insostituibile.
Ogni parrocchia è inserita in un territorio come casa tra le case, ma ancor di più famiglia tra le famiglie. La comunità parrocchiale ha un compito unico: è chiamata ad essere un punto di riferimento e una compagna di viaggio di ogni tappa della vita umana. Come il buon samaritano, la comunità parrocchiale è chiamata a farsi prossima dell’umanità con cui viene a contatto e a fasciare le sue ferite, a prendersi cura della vita, in particolare della sua dimensione spirituale.
Questa missione della comunità parrocchiale si realizza anzitutto con la trasmissione della fede, ovvero consegnare alle nuove generazioni la testimonianza viva del proprio rapporto con il Dio della vita. In tutta l’attività pastorale della comunità parrocchiale, questo compito rimane il nucleo fondamentale dal quale non si può prescindere. È per questo che sin dal Battesimo la comunità parrocchiale è un soggetto attivo che si fa garante, soprattutto lì dove i genitori non siano credenti, di educare nella fede il nascituro. Attraverso la celebrazione dei diversi sacramenti, che segnano pian piano tutte le tappe della vita umana, la comunità è sempre chiamata a prendersi cura che la dimensione spirituale della vita, ovvero la relazione personale con Dio, cresca, si alimenti e si fortifichi sempre di più.
Pian piano la comunità prepara i ragazzi a divenire uomini di fede, insegna gli atteggiamenti attraverso i quali porsi correttamente in relazione con Dio, a saper chiedere perdono a Lui e ai fratelli, riconoscendo i propri peccati e le proprie omissioni. Li avvicina all’insegnamento più sublime, che è quello dell’amore capace di donarsi per gli altri fino al sacrificio di sé. Sull’esempio di Gesù e nutrendosi della sua grazia, trasmette il valore della comunione ecclesiale, della fraternità umana, dell’amicizia sociale. Inoltre si prende cura di formare la persona a scelte di vita autentiche fondate sulla fedeltà e indissolubilità, quali espressioni di un amore vero.
La comunità pertanto è sempre un soggetto attivo che si prende continuamente cura della vita, anche quando la vita umana ha compiuto il suo corso. Quotidianamente nella celebrazione eucaristica prega secondo le necessità di tutti credenti e non credenti e continua ad affidare alla misericordia di Dio anche i fratelli che hanno già compiuto il cammino terreno.
Infine, proprio perché motivata dalla consapevolezza dell’eternità dell’esistenza, la comunità cristiana comprende il valore profondo anche degli aspetti più materiali ed urgenti della vita umana e se ne prende cura. Per questo, non dimentica di adoperarsi per rispondere al bisogno di “pane quotidiano” che in forme sempre più diverse le viene richiesto. Ed è proprio nel trovare risposte sempre nuove ed efficaci a questi bisogni, che la comunità cristiana si rende profetica ed anticipa nel presente il Regno di Dio, lo rende in qualche modo visibile.
Per quanto sia consapevole che solo nel Regno di Dio l’uomo potrà godere della beatitudine eterna e di una condizione di benessere assoluto, si impegna per lenire la sofferenza corporale e spirituale di ogni uomo, sapendo che, proprio in essi, si nasconde il suo amato Signore.
a cura di don Vincenzo Marinelli, dottore in Teologia della Comunicazione e Responsabile del Canale Telegram «La Buona Novella»