«Signore, insegnaci a pregare – chiedevano i discepoli – come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1). All’inizio di questo nuovo anno, può aiutarci ritornare su un gesto peculiare per noi cristiani: un’azione appartenente alla nostra identità di donne e uomini in cammino. Si tratta di un gesto tanto semplice quanto prezioso: il pregare.
Preghiamo per esprimere in parole i nostri desideri, ma soprattutto per rivolgerci al Padre: «la mia parola non è ancora sulla lingua e tu la conosci tutta» (Salmo 138). Ma lo facciamo anche in quanto discepoli: Gesù ha ordinato anche a noi di fare ciò che egli stesso fece. «Pregate, domandate, chiedete, nel mio nome» (Mt 5, 7, 26; Mc 13, 14; Lc 6, 10, 11,22). Gli apostoli ce ne raccomandano la perseveranza e l’assiduità (Rm 8,15-26; 1 Cor 12,3; Gal 4,6).
PERCHÈ PREGHIAMO?
Allora per quale motivo preghiamo? «La massima sventura è la solitudine, tant’è vero che il supremo conforto, la religione, consiste nel trovare una compagnia che non falla, Dio. La preghiera è uno sfogo come con un amico» (Pavese, Il mestiere di vivere). La preghiera è dunque quel canale privilegiato per maturare la nostra relazione con Signore.
La stessa preghiera però può assumere anche i contorni di un compito. «7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio […] diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il cammino». In queste righe dei Promessi Sposi Manzoni usa due vocaboli sinonimici, «ufizio» o «ufficio divino» e «breviario». Si trattava del libro sacro che raccoglieva i testi (soprattutto i Salmi biblici, come indica lo stesso scrittore) della preghiera “ufficiale” quotidiana della Chiesa, impegno orante obbligatorio per i chierici, ma caro anche a molti laici.
La preghiera della Chiesa è insieme «la preghiera che Cristo con il suo Corpo rivolge al Padre» (Paolo VI, Costituzione apostolica “Laudis Canticum”).
La forma più ridotta era denominata «libro d’ore», e questo titolo spiega una caratteristica strutturale dell’«ufficio divino» (officium in latino è anzitutto «dovere, compito, impegno»): esso, infatti, è scandito sulla trama delle ore della giornata, a partire dal Mattutino ancora immerso nella notte, scendendo – attraverso le Lodi dell’aurora, la prima, la terza, la sesta e la nona ora – fino al Vespro e alla Compieta serale, che suggella un intero giorno costellato dalla preghiera. Non per nulla, dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, il nuovo “breviario” è stato chiamato “Liturgia delle ore”.
Per ogni credente «la Liturgia delle Ore ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte […] tenendo conto, però, delle condizioni della vita odierna» (Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosantum Concilium). Nell’«ufficio divino», oltre alla sequenza quotidiana, si dipanava una distribuzione secondo lo svolgersi dell’anno liturgico, segnato da tempi particolari come l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua e le varie solennità e feste di Cristo, di Maria e dei santi.
PREGHIERA E MEDITAZIONE
La preghiera, però, è pure meditazione. Montaigne annotava che «meditare è un’occupazione potente e piena: io preferisco formare la mia anima piuttosto che ornarla». Certo, il termine “meditazione” non può circoscriversi al contesto strettamente religioso: in verità è un’esperienza radicale umana, dovrebbe essere una sorta di medicina dell’anima, tant’è vero che già Leopardi ammoniva nel suo Zibaldone che il verbo «meditare» deriva dal latino medeor, cioè «medicare, curare». È, quindi, una scossa al cuore intorpidito perché torni a battere: è come una doccia gelata mattutina capace di ridestarci dal torpore della notte,
Certo, come avviene nel breviario liturgico, le ripetizioni sono scontate, anzi, necessarie, proprio perché la verità ha bisogno di essere incastonata progressivamente nella mente. L’amore e la giustizia devono essere una guida costante nei passi dell’esistenza. L’intuizione di un istante deve trasformarsi in una visione costante. Per questo è necessario sorseggiarla e assaporarla a piccole porzioni. Solo così l’eccesso che genera nausea lascia spazio al piacere piccolo ma intenso, capace di imprimere un fremito al palato dell’anima.
Come pregare allora? «Ci viene insegnato a pregare, da bambini: che imparino a pregare, come bambini, almeno a fare così con le mani, con i gesti[…]. Che imparino la preghiera, da bambini, perché la preghiera sarà quello che darà loro forza durante tutta la vita: nei momenti buoni, per ringraziare Dio, e nei momenti brutti, per trovare la forza. È la prima cosa che voi dovete insegnare: pregare» (Papa Francesco, omelia del 9 gennaio 2023)
Anche nella vita di Gesù la preghiera scandisce i momenti più importanti della sua vita. Alla domanda dei discepoli – «Signore, insegnaci a pregare» – Gesù non dà una definizione astratta della preghiera, né insegna un metodo infallibile per pregare ed “ottenere”, quasi una tecnica efficace per strappare favori ad un Dio sordo! Egli invece invita i suoi a fare esperienza di preghiera, mettendoli direttamente in comunicazione col Padre, suscitando in essi una profonda nostalgia per una relazione profonda e personale con Lui. «Ecco la novità della preghiera cristiana. Essa è dialogo tra persone che si amano, un dialogo basato sulla fiducia, sostenuto dall’ascolto e aperto all’impegno» (Mons. Galantino).
Francesco de Leo
seminarista