Il Natale come manifestazione della Misericordia di Dio. È stato questo il filo conduttore del ritiro diocesano degli Adulti di Azione Cattolica, svoltosi nella Parrocchia di Sant’Agostino a Giovinazzo e guidato da don Giuseppe de Ruvo. La riflessione, avviata con la lettura del Vangelo di Luca (15,1-7) e di Matteo (18,21-35), si è innanzitutto focalizzata sull’immagine del buon pastore e della pecorella smarrita, che esprimono l’amore misericordioso di Dio, che manifesta il suo volto in Gesù Cristo («Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”», Gv 14,6-14), e del perdono. Misericordia e perdono, come ha aggiunto don Giuseppe, sono due peculiarità di Dio che anche i cristiani e, in particolare, gli aderenti di Azione Cattolica devono esprimere per manifestare al prossimo e al mondo il volto di Dio, Gesù Cristo, che è un volto di Misericordia.
A conclusione del ritiro, cui è seguita la recita del Rosario e la partecipazione alla Santa Messa, sono stati letti alcuni passaggi della Bolla di indizione dell’Anno Santa «Misericordiae Vultus». «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia” – si legge al paragrafo 10, per poi continuare al paragrafo 13 -. Per essere capaci di misericordia, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita».
«[Il Signore] Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera – si legge, infine, ancora al paragrafo 14 -. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare».