Quali sono le radici del percorso sinodale che Papa Francesco ha voluto inaugurare nel 2021? La risposta a questa domanda e le sue molteplici implicazioni hanno caratterizzato la prima giornata del Convegno diocesano pastorale (19 settembre 2023), focalizzata sull’intervento del prof. Michele Illiceto, docente incaricato di Storia della Filosofia moderna e contemporanea presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari.
Dalla “Lumen Gentium” al Sinodo
Le radici del Sinodo sono nella “Lumen Gentium”, la seconda delle quattro costituzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, passando per l’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”, il documento programmatico per la Chiesa voluta da Papa Francesco.
Riprendere il Concilio vuol dire guardare al passato? «Assolutamente no, anzi, vuol dire guardare al futuro. Il Concilio ci sta ancora davanti perché in 60 anni non è stato mai pienamente attuato, essendo stato un Concilio pastorale e non dogmatico – ha esordito il prof. Illiceto -. Con il Sinodo Papa Francesco non solo ci esorta a rileggere e studiare i documenti del Concilio, ma ad attualizzare adesso e per davvero nella concretezza della pastorale parrocchiale».
Per questo motivo, gran parte della struttura procedurale, antropologica, culturale del Sinodo rispecchia quella del Concilio: dobbiamo vivere la dimensione del dialogo ad intra, dunque la conciliartà, la corresponsabilità e, infine, la sinodalità intesa come “camminare insieme”.
Quale scopo per il Sinodo?
Viviamo, oggi, la crisi del noi e l’esaltazione dell’individualismo. Possiamo combattere l’autarchia dell’io con la profezia del noi? In fondo, era quello a cui puntava il Concilio.
«Lo scopo del Sinodo e del Concilio si equivale: affrontare le sfide del nostro tempo con la speranza del Vangelo, facendo discernimento – ha spiegato il prof. Illiceto -. Secondo quali processi? Dobbiamo incarnare il Vangelo. Dobbiamo condividere i drammi dell’uomo e la sua solitudine. Dobbiamo disarcionare la cultura della sterilità, della tristezza, della delega e della deresponsabilizzazione con la cultura della missione, senza rinunciare mai alla testimonianza».
Per questo motivo, l’attenzione del prof. Illiceto si è focalizzata su quattro parole chiave, che ben delineano la corrispondenza tra Sinodo e Concilio: comunione, partecipazione, missione e discernimento.
La COMUNIONE ci rende credibili
Come indicava la “Lumen Gentium”, noi siamo il popolo di Dio, in cui non esistono distinzioni e particolarismi (anche se, purtroppo, siamo abituati dividerci per gruppi, settori e appartenenze): siamo pellegrini del mondo, ma no del mondo.
Il prof. Illiceto ha elencato e spiegato le metafore con cui la “Lumen Gentium” descrive la Chiesa:
- è ovile e gregge, «come spazio che non ci chiude, in cui si contano le pecorelle che mancano»;
- è podere, campo e vigna, in cui «chi ha delle responsabilità non il padrone, ma solo il custode»;
- è edificio – tempio, in cui «io non sono la pietra angolare» e «siamo tutti pietre diverse, con diverse misure, e siamo impiegate dal costruttore, che è Cristo, per la costruzione del Regno»;
- è sposa, pertanto «tu non sei l’epicentro di tutto»;
- è corpo di Cristo, dunque «siamo membra vive , in quanto battezzati» e «dobbiamo ricordarci che il battesimo è la radice di ogni vocazione e, se siamo figli, siamo anche fratelli e, purtroppo, i fratelli non li abbiamo scelti, ma ci sono stati affidati».
La comunione deve valorizzare le differenze, non appiattirle e unificare tutti in tutto: «essere in comunione rafforza il senso di appartenenza – ha evidenziato il prof. Illiceto -, che non ha le caratteristiche del potere e ci impegna ad annunciare la comunità anche nella crisi della comunità». Se dobbiamo essere in comunione, come evitare o, meglio, armonizzare conflitti, frammentazioni e differenze?
PARTECIPAZIONE come vocazione
La partecipazione purifica e armonizza i conflitti e le differenze. «È fondamentale che le differenze ci siamo – ha aggiunto il prof. Illiceto – perché, proprio per le nostre differenze, tutti contribuiamo a costruire il Regno e, dunque, non possiamo essere una somma». Si partecipa per vocazione e la partecipazione non è di tipo funzionale o gestionale, non è una concessione fatta da una qualche autorità, non è restauratrice o conservatrice, ma aperta alla novità dello Spirito: essa riprende la vocazione alla santità.
«La nostra deve essere una appartenenza dinamica, non statica. Si appartiene per essere mandati e inviati – ha sottolineato il prof. Illiceto -. Abbiamo bisogno di cristiani adulti che non cerchino ricompense, ma siamo consapevoli di essere inviati per camminare, di essere parte di un “nomadismo pastorale”, di dover farsi guidare dalla flessibilità mentale, senza erigere trincee o fare vacuo proselitismo».
CORRESPONSABILITÀ e MISSIONE per essere fecondi
La partecipazione presuppone la responsabilità, ovvero la corresponsabilità perché «siamo chiamati a rispondere degli altri agli altri, di Dio a Dio, di te a te stesso». La corresponsabilità è la vocazione dei laici, che «santificano il mondo, santificandosi nel mondo»: «se Dio ti ha donato dei carismi, devi farli fruttificare» e «cerchiamo il Regno di Dio trattando le cose di ogni giorno, ordinandole secondo Dio».
Ricordiamo che le vocazioni nella Chiesa sono complementari (visione circolare e non piramidale) e che ogni laico «è vivo strumento della stessa missione della Chiesa, secondo la misura del dono del Cristo», partecipando «all’opera salvifica della Chiesa» (LG 33).
Qui si innesta il concetto di Chiesa diaconale e della logica del servizio: dunque, della missione e del discernimento.
DISCERNIMENTO per leggere gli eventi del tempo
«Non sei chiesa per te solo e non ti salvi da solo, non dobbiamo essere egoisti, ma dobbiamo imparare a leggere gli eventi del tempo corrente con la Parola, dobbiamo saper comprendere i cambiamenti in atto», ha sottolineato il prof. Illiceto.
Qui si innesta la lettura sapienziale di questa seconda fase del sinodo (se vuoi approfondire alcuni aspetti della seconda fase del Sinodo, rileggi la sintesi dell’ultimo Convegno Pastorale). La missione, secondo il prof. Illiceto, assume una dimensione trinitaria, cristologica, ecclesiologica e antropologica. Quali sono le nuove sfide?
Annunciare Dio all’uomo e l’uomo all’uomo.
Risignificare l’uomo a Dio e l’uomo a se stesso.
Risignificare e annunciare l’uomo all’altro uomo.
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a cura di Marcello la Forgia
Referente parrocchiale per il Cammino Sinodale e Vicepresidente del Consiglio Pastorale Parrocchiale