«Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo» diceva Giacomo Leopardi. Si, proprio lui! Il (per alcuni) triste e petulante poeta di Recanati. Eppure i benefici del ridere, evidentemente, non li erano sconosciuti.
IRONIA E SARCASMO
Quanta attenzione, infatti, è stata dedicata al riso e al sorriso da filosofi e letterati di ogni epoca. Nella Repubblica di Platone il riso è visto come una leggerezza insopportabile. I pensatori e intellettuali del Novecento faranno di più: proporranno un’interpretazione più raffinata del riso e del sorriso intrecciando dimensioni dell’esistenza. Anche Pirandello e il francese Bergson si sono cimentati nell’argomento: a suscitare la risata - secondo il filosofo francese - è il contrasto che lo spettatore avverte tra rigidità ed elasticità.
È l’unico modo intelligente e raffinato per sottrarsi a lotte che hanno il tragico potere di svuotarci, di avvilirci e di toglierci la speranza. William Blake, nella poesia The smile, riflette sulla variegata fenomenologia del sorriso: «C’è un Sorriso d’Amore, e c’è un Sorriso d’Inganno, e c’è un Sorriso dei Sorrisi in cui questi due Sorrisi si incontrano». Le mille sfaccettature del sorriso. Tra queste l’ironia e il sarcasmo.
L’ironia (insieme all’autoironia) è una sorta di “sistema immunitario della mente” (mons. Galantino), che consiste in una benevola dissimulazione e che finisce per essere anche divertente. Essa non solo sdrammatizza ma riduce le distanze e crea leggerezza.
Il sarcasmo invece non ha niente di divertente: si tratta di un metodo cinico, divertente soltanto perché umilia, delegittima l’altro con volgarità violenta.
LE SACRE SCRITTURE
Pure la teologia non si è risparmiata sull’argomento: la Sacra Scrittura offre anche qui prospettive interessanti. Sì, perché il riso fa parte dell’emotività divina (come lo sdegno, la gelosia, l’angoscia, la tenerezza e così via), al punto tale che Dio è pronto ad opporre al riso scettico di una donna, Sara, moglie del patriarca Abramo, un suo riso vivo echeggiante in un bambino, il figlio inatteso Isacco, che in ebraico significa appunto «Il Signore ha riso» (Gen 18 e 21).
È un riso disarmarmante, che «priva di forza ogni apparente potentissimo predominio», commentava il teologo Gerhard Ebeling. Giobbe, però, nel suo crescendo accusatorio contro Dio, indifferente alla sua tragedia, rasenta la bestemmia quando urla: «Se una catastrofe semina all’improvviso morte, Egli sghignazza sulla tragedia degli innocenti» (9,23)
C’è, però, un’obiezione che parte da un dato così sintetizzato da un autore cristiano ignoto rubricato in passato sotto un Sant’Agostino apocrifo: «»Dominum nunquam risisse, sed flevisse legimus», cioè, leggiamo nei Vangeli che il Signore Gesù pianse, ma mai che abbia riso.
Nel Nuovo Testamento il verbo “ridere”, è usato solo per le donne che inveiscono verso Cristo che considera “addormentata” la figlia morta di Giairo, capo della sinagoga di Cafarnao (Matteo 9,24). Gesù nelle «Beatitudini» di Luca (6,21.25) dichiara «beati voi che ora piangete» ma anche minaccia: «Guai a voi che ora ridete perché piangerete».
E san Giacomo nella sua Lettera (4,9) tuona così: «Gemete, o peccatori, sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza». Eppure tutto l’annuncio di Gesù è “evangelo”, cioè notizia buona e gioiosa di salvezza e liberazione, che la sua nascita è tripudio di festosità, che egli prega «esultando nello Spirito Santo» (Luca 10,21) , che il dramma della croce conduce alla luce della felicità pasquale.
UN ESERCIZIO DI SANTITÀ
Che meraviglia poter esorcizzare l’angoscia con una risata, ridimensionare le cose ridendoci sopra e non prendere troppo sul serio se stessi e gli altri.
Persino Papa Francesco ci incoraggia in questo esercizio: «Raccomando di recitare la preghiera attribuita a san Tommaso Moro: “Dammi, Signore, una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo, con il buon umore necessario per mantenerla. Dammi, Signore, un’anima santa che sappia far tesoro di ciò che è buono e puro, e non si spaventi davanti al peccato, ma piuttosto trovi il modo di rimettere le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa tanto ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Così sia”» (Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, nota 101). Ecco, un esercizio di santità.
Francesco de Leo seminarista