Terrorismo: una parola che per tutto l’Occidente genera terrore e rappresenta non solo lo spauracchio che giustifica l’intervento militare in alcune zone geografica (soprattutto in Africa e Medio Oriente), ma anche l’incubo di molti cittadini che, trincerati nelle proprie case, hanno smarrito il senso cristiano dell’accoglienza e della solidarietà vero si fratelli più sfortunati, mischiando terrorismo, religione e immigrazione.
Innanzitutto, è opportuno sapere che il terrorismo è, di solito, originato da individui frustrati dalla loro incapacità di ottenere quello che ritengono essere per loro il necessario cambiamento: avendo fallito con altri mezzi, ricorrono alla violenza. Peraltro, è bene sfatare un altro stereotipo: il terrorismo non è prevalente nei paesi poveri o di religione musulmana e non c’è l’assoluta evidenza che sia legato alla povertà in una relazione sistemica.
Senza dubbio, le caratteristiche generali di un sistema politico possono essere un fattore di sviluppo della politica del terrore: democrazie con limiti nella sicurezza danno spazio ai terroristi, come anche una partecipazione politica limitata e la repressione da parte di forze governative. Ad esempio, stati deboli come lo Yemen hanno permesso a gruppi come Al-Qaida nella Penisola Araba di operare pressoché indisturbati, mentre la guerra civile di 5 anni in Siria ha permesso allo stato islamico di penetrare, così come il protratto vuoto di potere in Libia.
Secondo alcuni intellettuali, la radice del terrorismo islamico, ad oggi il più presente sul palcoscenico dei mass media, è il salafismo (una versione violenta, ultra-conservatrice della religione), che intende applicare letteralmente la shariah, acuito dalla mancanza di un’interpretazione dell’Islam che sia approvata e teologicamente rigorosa, tale sfidare in modo chiaro gli abusi interpretativi della shariah. D’altra parte, gli intellettuali occidentali, che lottano per i diritti umani, non osano criticare la shariah e tutto ciò che in essa vi è di disumano, trincerandosi dietro ipocrite autocritiche e scuse socio-politiche per giustificarla, un vero e proprio atteggiamento remissivo che rafforza la posizione estremista.
«Il terrorismo è male perché nasce all’odio, perché non costruisce, ma distrugge, il nostro popolo capisce che la via del terrorismo non aiuta, che il cammino del terrorismo è fondamentalmente criminale. Preghiamo per tutte le vittime del terrorismo, mai più terroristi nel mondo». Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel maggio 2014 in occasione della visita al monumento alle vittime del terrorismo in Terra Santa, ben evidenzia la reale matrice del terrorismo, «forma cieca ed efferata di violenza che non cessa di spargere sangue innocente in diverse parti del mondo»: l’odio, l’egoismo, l’assenza totale di misericordia e perdono, il fanatismo. Papa Francesco ha anche sottolineato che «non ci sono giustificazioni per questa guerra mondiale a pezzi» e che «Dio piange e piangiamo anche noi per questo mondo che vive per fare la guerra col cinismo di dire di non farla».
Purtroppo, con l’attuale situazione internazionale, non basta la buona volontà del dialogo: occorre che musulmani, ebrei e cristiani autentici (per citare le tre religioni monoteiste più importanti) trovino un autentico punto di incontro per esigere che tutti denuncino tutto ciò che è violenza nelle nostre comunità religiose, in particolare, la violenza esercitata in nome di Dio e della religione. Come è stato ribadito più volte dagli ultimi papi, in particolare da Benedetto XVI nel suo ormai famoso discorso di Regensburg del 12 settembre 2006, l’uso della violenza è una pretesa intollerabile che danneggia l’immagine di Dio e la religione.
Naturalmente, resta sempre autentico il messaggio del Vangelo che è davvero una profezia della pace, e, soprattutto oggi, considerate le enormi potenzialità distruttive di cui l’uomo è capace, c’è davvero una emergenza della pace. Utilizzare il nome di Dio per giustificare la strada del terrore e della violenza è una bestemmia, come è inaccettabile, per i cristiani autentici, lasciarsi rapire della paura del terrore o scivolare in banali generalizzazioni e semplificazioni tra islam e violenza: talvolta non è la religione quanto le interpretazioni che si danno della religione a suscitare dei problemi, sotto la pressione di diretti interessi politici ed economici. Ad esempio, il Signore degli eserciti di testamentaria memoria può essere inteso come un attestato della sua grandezza oppure interpretato strumentalmente in senso politico militare. Ovviamente sta all’intelligenza e alla responsabilità di ciascuno fare una lettura appropriata.
di Marcello la Forgia